Karin Sander e l’arte al tempo di Google maps
Da domani il progetto realizzato per lo spazio di «Base»
In San Niccolò Un risultato straniante per diventare un po’ come «Alice nel paese delle meraviglie»
C’è lo spazio, c’è l’opera, c’è il pubblico. E c’è il digitale. Ci sono le relazioni, vecchie e nuove, di questa nostra era, c’è il mondo, c’è soprattutto la natura intrinseca dell’opera d’arte. È Karin Sander, artista concettuale tedesca, formatasi fra Berlino e New York, borsista in gioventù della fiorentina Villa Romana, la prima ospite del 2020 di Base/ progetti per l’arte.
Inaugura domani (alle 18) 43°45’51.8”N 11°15’46.8”E, un progetto appositamente realizzato per lo spazio no profit di via san Niccolò 18r, dove un indistruttibile manipolo di undici artisti fiorentini, tutti di caratura internazionale, propongono finestre sul meglio dell’arte contemporanea nel mondo, ravvivando col loro collettivo i fasti di quando Firenze negli anni ‘80 e dintorni era una vera fucina di creatività. Lei, la Sander, si divide fra Berlino e Zurigo, può dettar legge con qualunque galleria, ma ovviamente non lo fa coi colleghi di Base, dove era da lungo tempo nella lista dei desiderata. Dagli anni ‘90 privilegia nella propria ricerca una riflessione sulla natura dell’opera d’arte. Fra presenza e assenza, fra quello che manca e quello che si aggiunge. Qui ci schiaffa nel bel mezzo dei nostri tempi, ecco Google maps, quello strumento che tutti usiamo, ma proposto con un risultato straniante. Perché la visualizzazione negli spazi reali di quelli che sono ai nostri occhi gli elementi costitutivi dell’applicazione, dal puntatore che fissa il luogo, alle coordinate, fino alla traccia del dito sullo smartphone, si avvale dei media dell’arte processuale degli anni ‘90: scritte sulla parete con il prespaziato, tubo di neon colorato, intervento pittorico per trasformare un perimetro dell’architettura. Così diventiamo tutti un po’ «Alice dentro lo specchio», siamo dentro a un processo che porta ad altro. «Devo essere in grado di lavorare utilizzando risorse che esistono effettivamente, che sono già presenti all’interno del sistema, e che possono mettere il sistema contro se stesso», riflette la Sander. Già a Monaco nel 1997 aveva individuato ed evidenziato il centro reale, geometrico e geografico, della città, grazie a una base circolare in cemento rosso. Puntando così i riflettori su un’area generalmente inosservata, facendo al contempo emergere la relazione tra fattori scientifici, storici, economici e identitari. Quello che si rilevava era oggettivamente, fisicamente il centro. Distante da ciò che comunemente si intende come il centro cittadino. Un esperimento che probabilmente darebbe esiti simili da molte parti, Firenze inclusa, se solo ci si provasse.