A Prato sale giochi deserte e matrimoni annullati
Nel cuore della Chinatown: «Nel bar solo italiani»
Le saracinesche abbassate, gli sguardi sospettosi di pochissimi avventori. Il silenzio in cui è piombata Chinatown — luogo di chiasso e relazioni, urla e confusione — ora è ancora più evidente. Le finestre al primo e al secondo piano di via Pistoiese, colonna vertebrale di tutto il quartiere, sono serrate. Hanno cominciato a mostrare il verde striato delle persiane alla strada in corrispondenza dell’inizio dell’anno del Topo, al principio di Febbraio. La luce non è compagna di viaggio della lunga quarantena volontaria — almeno due settimane a testa— a cui si stanno sottoponendo in queste ore centinaia di cittadini cinesi della più grande comunità orientale d’Italia.
«Ci siamo guardati negli occhi e all’improvviso ci siamo accorti di vivere una scena incredibile: qui c’erano sei o sette persone ed eravamo tutti italiani. Non accadeva da 15 anni». Gianni Capobianco è il proprietario del Bar Scalino, il bar centrale del quartiere. Nel suo aneddoto c’è l’effetto della paura di un’intera comunità, che si fa precauzione. «Tutti quelli che sono arrivati dalla Cina nell’ultimo mese se ne stanno chiusi in casa per almeno 15 giorni, è l’ordine, tutti qui ci controlliamo a vicenda», spiega Marco Xe in piazza dell’Immaginario. Che precisa come l’allarme sia «dovuto soprattutto all’alta possibilità di contaminazione che avviene durante il viaggio».
All’ora di pranzo i ristoranti e le tavole calde sono vuoti. La clientela orientale è chiusa in casa, quella italiana è impaurita. Gli altri esercizi, specie quelli legati alla gastronomia, hanno deciso per lo più di fermarsi: ferie forzate per i dipendenti e un «arrivederci» a una data che non si conosce. Stesso copione per le sale da gioco, solitamente le più frequentate d’Italia (Prato è la provincia con la più alta spesa pro capite nei giochi, pari a 576euro). Secondo un’indagine diffusa ieri dall’agenzia specializzataAgimeg, le sale scommesse hanno registrato qui negli ultimi giorni una flessione della clientela del 70%.
«Speriamo tutti che l’allarme finisca presto — chiarisce Eleven, negoziante cinese di cosmetica — ma nessuno sa dire esattamente quanto può durare». Secondo molti abitanti di Chinatown la priorità è la salvezza sanitaria, ma nessuno è inconsapevole del danno economico che il panico per la diffusione del Coronavirus sta creando. «È una cosa incredibile. Abbiamo paura, abbiamo perso molto lavoro, quasi la metà di quello che avevamo prima della diffusione di questa malattia. La cosa strana — si sofferma Giuseppe, un ragazzone cinese che gestisce una sorta di negozio di bevande — è che ci sono due tipi di italiani: quelli che ci salvano continuando a venire come clienti e quelli che purtroppo si comportano male con noi per strada». In un momento così complicato, infatti, la comunità orientale si è ritrovata anche a dover gestire una recrudescenza degli episodi di razzismo. E si arricchisce di denunce, purtroppo, il faldone dell’osservatorio sulla sinofobia inaugurato nelle scorse settimane dal tempio buddista. Assieme all’industria del cibo e a quella del gioco si è fermata anche la (poderosa) macchina dei matrimoni. Centinaia di funzioni sono state cancellate, come spiegano le società che organizzano i festeggiamenti a Chinatown: «Qui purtroppo non c’è nessun calo, ma addirittura un blocco — racconta l’impiegata di una delle agenzie che si occupano di foto e banchetti — nella speranza che qualcosa migliori e che si possa ricominciare a vivere normalmente»