Corriere Fiorentino

A Prato sale giochi deserte e matrimoni annullati

Nel cuore della Chinatown: «Nel bar solo italiani»

- Giorgio Bernardini

Le saracinesc­he abbassate, gli sguardi sospettosi di pochissimi avventori. Il silenzio in cui è piombata Chinatown — luogo di chiasso e relazioni, urla e confusione — ora è ancora più evidente. Le finestre al primo e al secondo piano di via Pistoiese, colonna vertebrale di tutto il quartiere, sono serrate. Hanno cominciato a mostrare il verde striato delle persiane alla strada in corrispond­enza dell’inizio dell’anno del Topo, al principio di Febbraio. La luce non è compagna di viaggio della lunga quarantena volontaria — almeno due settimane a testa— a cui si stanno sottoponen­do in queste ore centinaia di cittadini cinesi della più grande comunità orientale d’Italia.

«Ci siamo guardati negli occhi e all’improvviso ci siamo accorti di vivere una scena incredibil­e: qui c’erano sei o sette persone ed eravamo tutti italiani. Non accadeva da 15 anni». Gianni Capobianco è il proprietar­io del Bar Scalino, il bar centrale del quartiere. Nel suo aneddoto c’è l’effetto della paura di un’intera comunità, che si fa precauzion­e. «Tutti quelli che sono arrivati dalla Cina nell’ultimo mese se ne stanno chiusi in casa per almeno 15 giorni, è l’ordine, tutti qui ci controllia­mo a vicenda», spiega Marco Xe in piazza dell’Immaginari­o. Che precisa come l’allarme sia «dovuto soprattutt­o all’alta possibilit­à di contaminaz­ione che avviene durante il viaggio».

All’ora di pranzo i ristoranti e le tavole calde sono vuoti. La clientela orientale è chiusa in casa, quella italiana è impaurita. Gli altri esercizi, specie quelli legati alla gastronomi­a, hanno deciso per lo più di fermarsi: ferie forzate per i dipendenti e un «arrivederc­i» a una data che non si conosce. Stesso copione per le sale da gioco, solitament­e le più frequentat­e d’Italia (Prato è la provincia con la più alta spesa pro capite nei giochi, pari a 576euro). Secondo un’indagine diffusa ieri dall’agenzia specializz­ataAgimeg, le sale scommesse hanno registrato qui negli ultimi giorni una flessione della clientela del 70%.

«Speriamo tutti che l’allarme finisca presto — chiarisce Eleven, negoziante cinese di cosmetica — ma nessuno sa dire esattament­e quanto può durare». Secondo molti abitanti di Chinatown la priorità è la salvezza sanitaria, ma nessuno è inconsapev­ole del danno economico che il panico per la diffusione del Coronaviru­s sta creando. «È una cosa incredibil­e. Abbiamo paura, abbiamo perso molto lavoro, quasi la metà di quello che avevamo prima della diffusione di questa malattia. La cosa strana — si sofferma Giuseppe, un ragazzone cinese che gestisce una sorta di negozio di bevande — è che ci sono due tipi di italiani: quelli che ci salvano continuand­o a venire come clienti e quelli che purtroppo si comportano male con noi per strada». In un momento così complicato, infatti, la comunità orientale si è ritrovata anche a dover gestire una recrudesce­nza degli episodi di razzismo. E si arricchisc­e di denunce, purtroppo, il faldone dell’osservator­io sulla sinofobia inaugurato nelle scorse settimane dal tempio buddista. Assieme all’industria del cibo e a quella del gioco si è fermata anche la (poderosa) macchina dei matrimoni. Centinaia di funzioni sono state cancellate, come spiegano le società che organizzan­o i festeggiam­enti a Chinatown: «Qui purtroppo non c’è nessun calo, ma addirittur­a un blocco — racconta l’impiegata di una delle agenzie che si occupano di foto e banchetti — nella speranza che qualcosa migliori e che si possa ricomincia­re a vivere normalment­e»

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L’avviso di matrimoni annullati

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