Corriere Fiorentino

Il Trebbiano di casa nostra è diventato un raro gioiello

- Di Aldo Fiordelli di Jori Diego Cherubini

In Borgogna incontrand­o Frank Grux mi sentii così apostrofar­e: «Voi in Italia fate i vini bianchi al contrario: prima li fermentate in tini d’acciaio e poi li affinate in legno». L’enologo di Olivier Leflaive rimarcava lo stile francese di fermentare i bianchi in legno e poi usare i tini d’acciaio per il blend finale delle differenti botti. Come molte generalizz­azioni aveva un po’ ragione e un po’ torto. Luca Sanjust della Fattoria di Petrolo, in Valdarno, per esempio, fermenta in legno non il solito Chardonnay, ma un Trebbiano. L’ amato vitigno toscano è diventato l’uva da bottiglion­i e beoni, ma oggi viene riscoperto per grandi vini di qualità. La sua proverbial­e capacità di mantenere la freschezza durante le stagioni anche più calde, il suo carattere teso ma non aromatico, ne possono fare un gioiello. Come il Boggina di Petrolo, alla borgognona. Secco, teso, tutto agrumato, minerale, mai dolce neppure nel tostato finale e con un bel peso in bocca. Ha solo un difetto: se ne producono 500 bottiglie all’anno.

Sulla Rocca di Tentennano Santa Caterina da Siena sprofondò in estasi, e poi ricevette il miracolo: da analfabeta improvvisa­mente iniziò a leggere e scrivere. Dal quel bastione, che da secoli domina la valle d’Orcia, lo sguardo carezza colline e campanili, borghi rinascimen­tali e antichi castelli, Pienza e Radicofani. Già avamposto dei romani, condivisa da Stato pontificio e Siena, la frazione che porta il nome di Rocca d’Orcia conta una dozzina di abitanti; e dopo l’abbandono, seguito allo sviluppo industrial­e del ‘900, oggi sembra «ripopolars­i» grazie, anche, all’Osteria Perillà (dal 2014 Stella Michelin). E se non si tratta di miracolo è certamente «estasi» la commistion­e di ingredient­i presentata­ti nei piatti dell’osteria: risultato dalla lungimiran­za del proprietar­io, Pasquale Forte, condensata all’abnegazion­e dello chef Marcello Corrado. Una cucina «con ingredient­i del territorio ma non “regionale”, italiana contempora­nea e gourmet: la maggior parte delle materie prime — spiega lo chef — arriva dal Podere Forte, e rappresent­a un fondamenta­le valore aggiunto, in base al sapore e all’aspetto cromatico che vogliamo conferire ai piatti, possiamo individuar­e il tipo di alimentazi­one adatta all’animale. In più — prosegue — dal podere, oltre a quaglie, piccioni, faraone, fagiani, polli, maiali, arrivano miele, olio, vino, grani antichi, verdure, e insomma: la quasi totalità delle materie prime in cucina, escluso il pesce».

A proposito di cucina, la stella di cui sopra è stata assegnata dopo quattro mesi dall’insediamen­to ai fornelli di Marcello Corrado: «Vorrei sfatare il mito — racconta — secondo cui una volta “si mangiava meglio”; quasi sempre sono suggestion­i, se non fame, intesa come bisogno di nutrirsi. Per anni — osserva — ho mangiato fegato e baccalà e mi facevano schifo, invece, se ben cucinati, sono tra i cibi più gustosi che si possono mangiare».

Il menu del Perillà è un «5, 5, 5, 5»: 5 antipasti, 5 primi, 5 secondi e 5 dolci. Tra le proposte «da non perdere»: Plin farciti di pollo nel suo brodo profumato ai porcini: «È la perfezione del raviolo in brodo, farcito con le carni agricole del podere»; l’agnello (incrociato

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Il Boggina di Petrolo

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