Kaprow, e la vita diventò arte
Museo Novecento Dal 20 febbraio omaggio al padre degli Happenings che rivoluzionò i linguaggi creativi Così il precursore della performing art ha portato alle estreme conseguenze la svolta realista di Caravaggio
Senza Allan Kaprow, a cui il Museo Novecento renderà omaggio dal 20 febbraio, non avremmo gran parte dell’arte contemporanea. Senza gli Happenings e gli Environments, da lui realizzati, l’arte esperienziale e partecipativa di oggi non esisterebbero. Dopo Jackson Pollock, è stato lui a portare alle estreme conseguenze l’uscita dal quadro, la dissoluzione della cornice, per andare incontro alla vita con tutti i rischi e le possibilità espressive che questo passo comportava nell’arte degli anni ‘50 del Ventesimo secolo. Se Caravaggio aveva sporcato i piedi ai pellegrini e ritratto una prostituta annegata al posto della Vergine Maria, ecco che Kaprow azzera definitivamente il confine tra arte e vita, lasciando alla realtà il compito di funzionare come linguaggio creativo senza nessuna forma di trasfigurazione. Dopo la morte di Pollock, le alternative erano poche: continuare sulla strada da lui tracciata, finendo nel manierismo moderno, oppure smettere di dipingere. Ed è questo ciò che fa Kaprow quando, nel 1957, abbandona la pittura e realizza i primi assemblaggi polimaterici (action-collage), che lo porteranno di lì a poco a concepire gli Happenings e gli Environments. Più di altri ha compreso il senso rivoluzionario dell’action painting: «Pollock ci ha lasciati al punto in cui ci dobbiamo preoccupare dello spazio e degli oggetti d’uso quotidiano, che siano i nostri corpi, i vestiti, le stanze o la vastità della 42° strada...Oggetti di qualsiasi genere costituiscono materia per la nuova arte: pittura, sedie, cibo, luci elettriche e neon, fumo, acqua, calzini usati, film, un cane e mille altre cose che saranno scoperte dalla nuova generazione di artisti…
I giovani artisti d’oggi non hanno bisogno di dire: “sono un pittore” o “un poeta” o “un ballerino”. Sono semplicemente “artisti”. Tutta la vita è aperta a loro». C’è molto dell’insegnamento di Cage in queste sue dichiarazioni. C’è tutto il coraggio di quella generazioni di artisti, preparatissimi in storia dell’arte sotto la guida di Meyer Shapiro alla Columbia University. Azzerare non significava non sapere, essere immemori dei precedenti accadimenti.
Come in un calderone, Kaprow ha mescolato teatro e poesia, performance e collage, danza e musica, politica e gioco, arte circense e pratica zen, per reinventare la scultura monumentale, cioè quella pubblica. Con Fluids (1967) e Words (1962), due sue celebri opere, il visitatore non è solo spettatore, diventa protagonista attivo. Come accadrà al Museo Novecento (ad aprile un evento speciale in piazza della Signoria) con i giovani artisti in residenza alla Manifattura Tabacchi, che riproporranno Fluids e stavolta al posto di blocchi di ghiaccio i visitatori potranno usare dei fogli di carta da piegare per costruire dei mattoni fino a creare una grande, leggerissima, scultura. E mentre Worlds lasciava la possibilità al pubblico di reinventare il linguaggio a proprio piacimento, un centinaio e più di parole e frasi adesso verranno riproposte secon
do una nuova logica da Dania Menafra.
Kaprow libera energia, organizza la vitalità, esalta la creatività in ciascuno di noi. Accetta l’imponderabile e porta al limite il concetto di autorialità, fino quasi a dissolverlo. Ma c’è del rigore e della cura nelle sue operazioni. Fissando delle regole, ha comunque dato la possibilità ad altri di reinventare le sue action, autorizzando la creazione di nuove versioni. Le reinvenzioni si basano sull’acquisizione di una serie di informazioni nonché sulla condivisione di alcuni principi di base di cui tener conto per essere partecipanti attivi in qualcosa di assolutamente nuovo: «Un Happening, a differenza di uno spettacolo teatrale, può avere luogo in un supermercato, mentre si guida lungo un’autostrada, sotto un mucchio di stracci e nella cucina di un amico, contemporaneamente o in successione. Se in successione, il tempo può estendersi per più di un anno. L’Happening viene eseguito secondo un programma, ma senza prove, pubblico o ripetizioni. È arte, ma sembra più vicina alla vita». Insofferente alle pareti delle gallerie, Kaprow non si accontentava di riempire gli spazi di suoni, cianfrusaglie, carta strappata, lattine, scritte di giornali, in altre parole della tradizione del collage, del dadaismo, del ready-made, del futurismo a cui si rifaceva. Le avanguardie dei primi del ‘900 sono superate con un balzo in avanti radicale. Oltre la cornice, oltre l’estetica del bello, oltre la tradizione c’è molto di più. Così Kaprow crea i suoi ambienti, spazi ibridi, una forma inedita di messa in scena dove la rappresentazione e il simbolico entrano in crisi, e si recupera un senso primario dell’arte e della danza, qualcosa della funzione magica del rituale: «Un environment è letteralmente una zona in cui entrare (...) La loro prima forma alla fine degli anni ‘50 aveva il sapore dell’espressionismo astratto: un sacco di cianfrusaglie, luci, rumori registrati, appesi liberamente, più stretti, luoghi in cui in qualche modo era un po’ difficile entrare e camminare o strisciare. Ultimamente, le forme sono vicine agli stili più freddi del Pop e dell’arte primaria. E di conseguenza è più facile averci a che fare, e inducono un senso di distacco in chi vi entra. Si riveleranno interessantissimi quando saranno realizzati lontano dalle gallerie: nel bosco, lungo un’autostrada, in una cava di pietra, ai margini di un aeroporto...».
In altre parole, Kaprow ha aperto le danze contemporanee, e oggi molti artisti delle nuove generazioni sono come debuttanti al suo cospetto.
* Direttore artistico del Museo Novecento
❞ Insieme ai giovani artisti della Manifattura Tabacchi saranno riproposte due sue celebri opere E il pubblico sarà protagonista