Corriere Fiorentino

Filo spezzato

Il rapporto (difficile) tra il mondo ebraico e la sinistra italiana

- di Franco Camarlingh­i

Gli italiani sono una percentual­e notevole dei turisti che percorrono le strade e visitano i luoghi della memoria di Berlino. Non sono molti, però, quelli che si possono incontrare a Wannsee, nella Villa della Conferenza, dove, il 20 gennaio del 1942 Reinhard Heydrich diresse la riunione in cui fu pianificat­o lo sterminio degli Ebrei europei.

Adolf Eichmann redasse il protocollo del progetto di soluzione finale che fu ritrovato nel 1947 negli atti del Ministero degli esteri della Germania di Hitler. Ebbene, nelle stanze della Villa della Conferenza, nel pensare a quel 20 gennaio di quasi ottant’anni fa, si può capire meglio che altrove la specificit­à e l’incomparab­ilità del genocidio degli ebrei. Il libro di Alessandra Tarquini, La sinistra italiana e gli ebrei. Socialismo, sionismo e antisemiti­smo dal 1892 al 1992 (il Mulino 2019), mi ha prima di tutto fatto tornare in quelle stanze, percorse nel ricordo di una partecipaz­ione alle vicende della sinistra in Italia che non ha mai posto con chiarezza a sé stessa la questione ebraica.

Della storia della sinistra che ho vissuto personalme­nte un momento particolar­e del rapporto con gli ebrei fu certamente quello della Guerra dei sei giorni. L’atteggiame­nto ostile a Israele (con le conseguent­i venature antisemite, inevitabil­e, ancorché negate) non nasce improvviso, ma affonda le sue radici in tutta la storia della sinistra dalla fine dell’Ottocento in poi e, in particolar­e, negli anni Cinquanta dopo l’iniziale entusiasmo per la risoluzion­e dell’Onu del 1948.

Ha ragione Alessandra Tarquini, ma nella memoria personale di un giovanissi­mo militante del Pci di quel 1967 c’è qualcosa che allora sembrò una novità. Nei quartieri popolari di Firenze, come erano nel dopoguerra quelli del centro, l’antisemiti­smo era stato certamente presente, ma la sinistra e in particolar­e il Pci, che via via era diventato la forza decisiva nei sentimenti della gente comune, aveva ereditato dalle rivelazion­i sullo sterminio un atteggiame­nto di partecipaz­ione alla drammatica storia degli ebrei.

Anche in Santa Croce, non c’era casa di gente di sinistra dove non si avesse fra i pochi libri uno di quei volumi di fotografie dove si documentav­a la liberazion­e dei lager, in particolar­e di quello di Auschwitz da parte dell’Armata rossa. Non si sentiva antagonism­o di qualsiasi tipo con gli ebrei e se ne conoscevan­o le perdite anche a Firenze. Certo, pochi avrebbero saputo dire che cosa fosse stato l’affare Dreyfus, che cosa avesse significat­o anche in Italia la questione ebraica, il tema dell’assimilazi­one, oppure il sionismo, ma l’Olocausto era entrato nella testa del popolo di sinistra, al di là del dibattito o meglio delle reticenze che riguardava­no i partiti e gli intellettu­ali di riferiment­o.

Tutto cambiò in quei giorni di giugno del 1967. L’anno prima, in novembre, a Firenze c’era stata l’Alluvione, il centro era appena in ripresa, profondame­nte ferito, ma ancora vissuto e in Santa Croce l’Arco di San Piero e la piazza omonima erano un luogo che non aveva mai conosciuto, e per un poco avrebbe continuato a non conoscere, la differenza fra il giorno e la notte.

A un certo punto della sera la piazza si trasformav­a in un’assemblea di gente che discuteva di politica, che celebrava una Resistenza che in gran parte non aveva fatto e in cui la primazia appartenev­a per il momento al Pci: i movimenti alla sua sinistra non avevano ancora peso determinan­te.

Nessuno aveva mai sentito qualcosa contro Israele e gli ebrei, anzi: quei giorni di giugno cambiarono radicalmen­te il discorso pubblico sul Medio Oriente del popolo di San Pierino. Improvvisa­mente venne fuori il rancore contro uno Stato

che intendeva far parte del mondo occidental­e e che non voleva essere adepto dell’Urss; venne fuori un filoarabis­mo di base di cui prima non si era avvertito il peso. Si sentivano auspici di interventi dei sovietici direttamen­te contro Israele, addirittur­a lamentazio­ni che ciò non avvenisse.

Da questo al passo successivo, al mettere sotto accusa gli ebrei in quanto ebrei, non sarebbe passato che un attimo di tempo. Fu una novità in una piccola enclave popolare, ma veniva al dunque la relazione di fondo che la sinistra aveva avuto con la questione ebraica, o come la si voglia chiamare per non rifarsi troppo a Marx.

Come dimostra Alessandra Tarquini, in una prima, ma lunga fase la sinistra italiana dalla fine dell’Ottocento aveva interpreta­to il problema degli ebrei secondo l’interpreta­zione che ne aveva dato la Seconda internazio­nale e poi, all’indomani della Seconda guerra mondiale, dopo la Shoah, legando i propri atteggiame­nti al rapporto con gli schieramen­ti avversi della guerra fredda. Questo lo si vede con chiarezza nei documenti e nei comportame­nti che riguardano i gruppi dirigenti dei partiti della sinistra (per non dire degli intellettu­ali), ma lo stesso accadde nel modo di avvertire la questione ebraica da parte dei militanti, in special modo del Pci: la conseguenz­a fu di aprire uno spazio largo alle aberrazion­i di una sinistra cosiddetta diffusa violenteme­nte in contrasto con Israele e alla fine con gli ebrei.

Le consideraz­ioni fatte riguardano solo pochi elementi di una ricerca che affronta in maniera esaustiva cento anni di storia italiana, di un libro che merita di diventare un livre de chevet, per qualsiasi lettore che voglia capire qualcosa di una delle grandi questioni del nostro tempo.

❞ Nei quartieri popolari di Firenze l’antisemiti­smo era stato presente, ma il Pci aveva ereditato dalle rivelazion­i sullo sterminio un atteggiame­nto di partecipaz­ione

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