Chi è positivo al test non è per forza ammalato Istruzioni per i bambini
Cosa comporta la positività al test per il coronavirus?
Chi risulta positivo al test (eseguito in laboratorio su un tampone faringeo) è stato infettato dal coronavirus e potrebbe contagiare gli altri. Potrebbe ammalarsi — con tosse, febbre, raffreddore, mal di gola, congiuntivite, polmonite — oppure rimanere senza sintomi, senza disturbi. La contagiosità di chi risulta positivo al test è strettamente legata alla sintomatologia, perché tosse e starnuti sono il principale veicolo di contagio. Sugli asintomatici invece non c’è ancora chiarezza assoluta, ma si suppone che siano potenzialmente infettivi attraverso rapporti più ravvicinati, ad esempio scambiando lo stesso bicchiere, una sigaretta o con un bacio.
Chi è risultato positivo, quando può considerarsi libero dal virus e non più contagiante?
Un asintomatico, risultato positivo al test, supera l’infezione quando un eventuale nuovo test ripetuto a distanza di tempo dal primo risulta negativo. Ma con le ultime disposizioni del governo non viene più fatto il test a chi è asintomatico. Così, una persona che fosse risultata positiva al test, se per 14 giorni non sviluppa alcun sintomo, viene considerata non più contagiosa (anche se su questo non c’è la certezza assoluta, la probabilità viene considerata altissima). Un positivo al test che si ammali (ma senza polmonite) per essere considerato non più contagioso deve guarire dai sintomi ed essere negativo al nuovo test. Chi invece sia positivo al test e sviluppi anche la polmonite, oltre a guarire dai sintomi ed essere negativo al test, deve risultare sano anche in base a una radiografia toracica.
I test sui tamponi faringei sono affidabili al cento per cento?
I risultati dei test rapidi di laboratorio, a causa della velocità con cui le procedure sono state allestite nelle settimane scorse, non sono totalmente affidabili. E per avere la certezza di una positività serve la successiva, e più lenta, validazione da parte dell’Istituto Superiore di Sanità. Fino ad allora chi risulta positivo viene classificato come caso sospetto. Finora, nessuno dei due test positivi risultati in Toscana e successivamente verificati è stato smentito. In Piemonte, invece, dei primi tre casi sospetti, due sono stati poi invalidati dall’Istituto Superiore di Sanità.
Chi risulta negativo al test è certo che non sia stato infettato dal coronavirus?
Non è detto che chi risulti negativo a un test non sia infettato dal coronavirus: se il contagio è recente, il soggetto può non aver sviluppato una carica virale sufficiente a risultare positivo, ma potrebbe svilupparla successivamente. Per questo ai soggetti che hanno avuto contatti a rischio viene suggerito l’isolamento fiduciario per 14 giorni, anche se il test è negativo e anche se non vengono sottoposti al test perché asintomatici.
La mascherina serve a proteggersi dal contagio da coronavirus?
La mascherina serve a chi è contagiato a non trasmettere l’infezione agli altri. Non basta invece a difendersi dal contagio perché non solo la bocca e il naso ma anche gli occhi e le orecchie sono porte d’ingresso per il virus. Portare mascherina e occhiali protettivi tuttavia riduce notevolmente la possibilità di essere infettati. Ma la principale misura di profilassi è lavarsi e disinfettarsi spesso le mani perché toccarsi bocca, naso e occhi è un gesto istintivo che si può limitare, ma è difficile da evitare totalmente.
Cosa deve fare chi ha sintomi respiratori ma non ha motivi di sospettare un contagio da coronavirus?
Chi non ha avuto contatti con persone la cui infezione sia nota o che sono stati in una zona a rischio nelle ultime due settimane ma abbia sintomi tipici dell’influenza deve restare a casa. Il suo punto di riferimento è il medico di famiglia (o il pediatra, nel caso sia un bambino): la Regione, per evitare che i medici vengano contagiati da inconsapevoli portatori del coronavirus, ha imposto il «triage telefonico», ovvero il divieto di andare nello studio del dottore nel caso il paziente non si senta bene, se non dopo aver parlato con lui. Il medico ha il dovere di sorvegliare per telefono l’andamento dei sintomi del paziente. Sta al medico valutare l’opportunità di una visita (in studio o a domicilio) e l’eventuale ricovero in ospedale. Il paziente influenzato non deve comunque mai rivolgersi in modo autonomo a un pronto soccorso, ma deve essere portato in ospedale da un’ambulanza del 118, attrezzata per proteggere gli operatori sanitari da un eventuale contagio. Il limite del sistema è tuttavia il fatto che non ancora tutti i medici di famiglia sono dotati delle protezioni necessarie per fare visite a domicilio. In caso di dubbio, per il cittadino, ci sono il numero verde del ministero della Salute, 1500, e della Regione Toscana, 800.556060
I bambini e il coronavirus: quali sono i rischi da evitare e quali le accortezze da prendere?
Tra i bambini sotto i dieci anni non è ancora stata registrata alcuna vittima del coronavirus, tra i ragazzi tra i 10 e i 19 anni la mortalità si ferma allo 0,2 per cento. I giovani sono i meno a rischio di subire conseguenze gravi dal virus, tra di loro si registrano i sintomi più lievi. Gli esperti tuttavia non sanno spiegare questo punto, visto che i bambini hanno un sistema immunitario meno sviluppato e quindi è di solito più suscettibile alle diverse forme virali: così, avendo sintomi più evidenti per un’influenza e invece meno evidenti per il coronavirus (raramente sviluppano la polmonite correlata), è più difficile diagnosticare quale delle due malattie abbiano contratto. Nel caso di sintomi gastrointesti-nali, assai frequenti, è invece facile escludere che possano essere provocati dal coronavirus. Nel caso di dubbio sulla forma virale contratta, un genitore non ha grandi difese: un bambino non può essere isolato in una stanza della casa, ha sempre bisogno dell’assistenza di un adulto. E difficilmente lo si può costringere a tenere sempre al volto la mascherina. In ogni caso, se il bambino si ammala, il primo riferimento è il pediatra di famiglia. Da contattare per telefono.