A Chinatown: «La disciplina ci ha salvati»
Prima la grande paura, ora gli elogi per il caos evitato «Come? Grazie a 250 famiglie in quaranta severa»
Più che per gli occhi a mandorla, alla prima si riconoscono per le mascherine che portano alla bocca. Via Pistoiese e via Filzi, il cuore pratese della comunità cinese, sono in questi giorni una rappresentazione plastica di come oggi Prato affronti la paura del coronavirus. Da un lato loro, i cinesi, con la mascherina. Dall’altro, i pratesi, senza.
Benvenuti a Chinatown, la città nella città (si stimano che i cinesi regolari siano 25 mila su oltre 200 mila abitanti), deserta, muta. Pochi i cinesi con la mascherina che camminano lesti sui marciapiedi. La maggior parte di loro, di ritorno dal Capodanno trascorso in Cina, sono in quarantena volontaria. Si stima che siano almeno 150 le famiglie rinchiuse in casa: «C’è chi porta loro il cibo, suona il campanello, lo deposita all’entrata e se ne va senza avere alcun contatto. Molti di loro mi dicono che è dura passare la giornata in casa. Per lo più trascorrono il tempo guardando film o navigando su internet», racconta Wang Li Ping, artigiano. Fino a qualche settimana fa Prato, dove vive la comunità cinese più numerosa d’Italia, era sull’orlo di una crisi di nervi. Si temeva l’esplosione di un contagio di massa. Si aggirava lo spettro che la città potesse diventare il lazzaretto della penisola. La paura ha cominciato a insinuarsi più rapida del virus. Ed invece ad oggi nessun contagio. «Mi hanno telefonato alcuni amici di Ravenna chiedendomi se si potevano fidare a venire a Prato. Gli ho risposto secco: noi non abbiamo gente contagiata al contrario di quanto è successo nella vostra regione. L’equazione cinese uguale virus è venuta meno, almeno da noi», racconta David Finizio, segretario del tempio buddista. Ci si chiede come sia stato possibile che il luogo in cui tutti temevano il contagio esplosivo sia ad oggi salvo?
Tre almeno le ragioni, secondo Renzo Berti, direttore del dipartimento prevenzione dell’Asl Toscana centro. «I cinesi di Prato vengono quasi tutti dalla provincia di Zhenjiang dove l’incidenza dei casi accertati è scarsa (1.205 su 57 milioni di abitanti) e c’è stato solo un solo decesso. Inoltre la comunità cinese emigrata qui è poco anziana e, come è noto, questa patologia è critica soprattutto negli anziani già ammalati di altro». Terza ragione, aggiunge Berti: la quarantena volontaria a cui si sono sottoposti i cinesi rientrati dal Capodanno. «C’è stata anche un’adesione record in Italia di famiglie (circa 250) con bambini e studenti sottopostisi alla sorveglianza sanitaria». Come d’altra parte ha riconosciuto in maniera autorevole
Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani di Roma: «Il meccanismo di isolamento e controllo domiciliare a Prato ha funzionato perfettamente». Il segreto? «I miei connazionali imposti un tipo di precauzione in vigore in Cina, che è più severo di quello italiano, nel senso che uno si mette in quarantena a prescindere dai sintomi del male», risponde Marco Wang, imprenditore e consigliere comunale. Agli inizi di febbraio c’è stato persino uno scontro con il Comune perché, racconta l’imprenditore Flavio Hu, «un albergatore cinese voleva svuotare il suo albergo per ospitare in quarantena tutti i cinesi che stavano tornando dal Capodanno, ma ci hanno risposto che non era il caso».
Fa impressione, a Chinatown, il contrasto di clima e di umori. Alla pasticceria Peruzzi, tra le più rinomate della città, un gruppo di pratesi scherza sul virus mentre le persiane delle case dei cinesi sono abbassate e i passi dei pochi che si vedono per strada sono mesti, preoccupati. Una farmacia espone in cinese i fitofarmaci «per aiutare a rafforzare le difese immunitarie». Anche le sale da gioco (fino a qualche anno fa a Prato in media le slot ingoiavano 900 euro all’anno) sono in crisi e riducono gli orari. E persino Aldo Milone, ex assessore nella giunta di centrodestra di Roberto Cenni (2009-2014), ribattezzato all’epoca lo «sceriffo» per le sue posizioni molto dure contro i cinesi soprattutto clandestini, oggi riconosce che «la comunità pratese con la scelta dell’autoisolamento ha dato prova di grande responsabilità». E c’è chi, come Gianni Rossi, direttore di Tv Prato, osserva che «questa vicenda forse inciderà positivamente nei tormentati rapporti in città tra pratesi e cinesi. Una svolta? Chissà…».
Berti (Asl) I cinesi pratesi vengono quasi tutti dallo Zhenjiang, dove l’incidenza dei casi è scarsa, e tra di loro ci sono pochi anziani, la categoria più colpita dal virus
L’ex sceriffo Milone Devo riconoscere che la comunità cinese di Prato, con la scelta dell’autoisolamento, ha dato una prova di grande responsabilità