IL GRANDE SEGRETO DI SER FILIPPO
«Signori Deputati sopra l’Opera secolare di Santa Maria del Fiore, fino da quando io posi il piede nell’Opera, chiamatovi dalla loro bontà, per conservare specialmente le preziose carte che racchiudono in quell’Archivio, sentii il dovere di dare un segno notevole della mia riconoscenza (…) La Cupola del Brunelleschi è oggetto di maraviglia allo straniero, di studio all’artista, d’orgoglio a questo popolo, che serba tuttavia un sentimento della passata grandezza».
Così scriveva Cesare Guasti nel 1857, pubblicando il suo «saggio» sui documenti relativi alla Cupola, dei quali non gli saremo mai sufficientemente grati. Da quella sistematizzazione della conoscenza storica e dagli studi sistematici di Piero Sanpaolesi, che ne scrisse la prima insuperata monografia nel 1938, presero il via gl’importanti contributi, i modelli e le sperimentazioni che fecero seguito alle celebrazioni del sesto centenario della nascita del Brunelleschi (1977) e il profondo lavoro conoscitivo del Comitato nazionale ministeriale che lavorò fino al 1980. Il problema del voltar la cupola si riapre – dopo decenni di abbandono – al ritorno del Brunelleschi dal suo viaggio a Roma, dove aveva preso confidenza con l’arte muraria della classicità romana e le grandi strutture (anche se il modello fondamentale di riferimento resterà sempre il vicino Battistero di San Giovanni). Brunelleschi era andato a Roma dopo la delusione del concorso per la Porta nord del Battistero, vinto da Lorenzo Ghiberti. Un Ghiberti nemico, invidioso e insidioso che, insieme a Giovanni di Gherardo Da Prato, gli farà la guerra, denigrandolo per i primi anni di incarico alla Cupola, facendosi pagare come virtuale collaboratore, senza fare assolutamente nulla e dimostrandosi incapace di capire l’intuizione strutturale di Filippo. Finalmente, vinto il concorso per murar la Cupola, bandito nell’agosto del 1418, maestro Filippo (con Donatello che l’aveva aiutato) riceve l’anno dopo il compenso per il modello di mattoni «murato a chalcina sanza alchuna armadura» e l’anno successivo – il 7 d’agosto 1420 – si comincia a murare. Certamente a convincere i commissari contribuì in modo determinante l’assicurazione di realizzare la cupola senza armature da terra, che avrebbero comportato una foresta di legname sicuramente dispendiosa. Secondo una nobile tradizione del mondo dell’edilizia durata fino ad alcuni anni fa, anche nel Quattrocento, si festeggiavano l’inizio («la prima pietra») e la fine dei lavori
❞ Vinto il concorso ricevette il compenso per il modello di mattoni «murato a chalcina sanza alchuna armadura»
❞ Leon Battista Alberti definì l’opera «structura sì grande, erta sopra e’ cieli, ampla da coprire chon sua ombra tutti e popoli toscani»
(«la copertura»). Infatti, rubricata fra le spese dell’Opera – «lire tre, soldi 9, denari 4» – c’è quella per vino vermiglio, trebbiano, pane e poponi, per la «cholazione si fè la mattina che si chominciò a murare la Chupola». I sedici anni impiegati a realizzare la Cupola furono fra i più duri della vita del Brunelleschi. Invidie, calunnie, minacce, scioperi, ritardate consegne, pagamenti col contagocce, lo accompagnarono giorno per giorno. Da una parte le stigmatizzazioni dei suoi irriducibili concorrenti, dall’altra i tentennamenti della committenza sempre sensibile alle insinuazioni del non facile ambiente fiorentino, ed altro ancora dal risentimento degli operai (sicuramente più di cinquanta nel cantiere), obbligati a non scender dalla Cupola per l’intero giorno per dieci-dodici ore. E quando i «maestri di chazzuola cicalavano» contro di lui – secondo quanto ci dice il biografo Manetti – Brunelleschi non esitò a sostituirli in cantiere con «maestri Lombardi», muratori e lapicidi assai bravi che avevano ereditato la professionalità dei maestri medievali comacini. A lavori iniziati si continuava a non capire quale fosse il segreto di voltar la Cupola senza armature; e in effetti, si dovettero aspettare cinque anni, il gennaio del 1425, per avere una seconda relazione dettagliata, più precisamente il «Raporto facto a voi signori operai e ufficiali della Cupola» ove, insieme a tanti nuovi dettagli tecnici ci sarà il passaggio determinante: «si facci fare mattoni grandi e … si murino con quello ‘spinapescie’ sarà diliberato per chi l’arà a conducere». La «spinapesce», per il concetto di autosostentamento cuneiforme nella posa dei mattoni, fu infatti la sorprendente invenzione brunelleschiana che consentì di evitare i ponteggi da terra e le cèntine portanti per averle, assai più leggere, solo traccianti della curvatura. Finalmente, e siamo al 31 agosto 1436, dopo sedici «pontate» la cupola è terminata e si chiude alla serraglia, la corona marmorea su cui si appoggerà la lanterna e, conclusivamente, la palla dorata. Con «lire setantatue e soldi dodici» si pagano più spese, quali «tronbetti e piferi e pane e vino e charne e frutte e chacio e macheroni e altre chose per la festa e la benedizione della Chupola».
Il «segreto» della Cupola riposa su due punti essenziali: la «spina pesce» e la «sezione scatolare» realizzata con la doppia cupola (i due gusci). La prima consiste nell’alternare la posa in opera dei mattoni di piatto, con raggi a coltello evitando lo scivolamento della corona apparecchiata; la seconda, nel collegare le due calotte, così da avere, con minor peso una sezione molto più resistente. Leon Battista Alberti, che conobbe e frequentò Brunelleschi, rese omaggio alla sua Cupola con una frase, ancor oggi citatissima e attualissima: «structura sì grande, erta sopra e’ cieli, ampla da coprire chon sua ombra tutti e popoli toscani».