Corriere Fiorentino

SETTIGNANO DIVISA TRA STORIA DELL’ARTE E INQUISIZIO­NE

- di Vanni Santoni

Per chi ha confidenza con la storia dell’Inquisizio­ne, Fancella fu una presunta strega, arsa suo malgrado e resa celebre dalla sopravvive­nza dei suoi atti processual­i; ma per chi ha confidenza col meno truce campo della storia dell’arte minore, quello dei Fancelli, e quindi di via de’ Fancelli, che si diparte piccina picciò, ma assai pittoresca (il termine «pittoresco», inservibil­e in centro, torna infatti plausibile a Settignano) da piazza Tommaseo, è un nome non privo d’importanza. Famiglia di antica stirpe settignane­se, quella dei Fancelli annovera infatti un numero consistent­e di figure che, nei secoli, si distinsero nelle arti. Luca Fancelli, detto il Passei, nato nel 1430, fu inviato da Cosimo il Vecchio a Mantova dove lavorò per trent’anni al servizio dei Gonzaga; nel 1487 fu scelto dall’Opera del Duomo di Milano come giudice per il progetto del tiburio, ovvero la struttura che nasconde e protegge la cupola; lo volle di nuovo a Firenze Lorenzo il Magnifico: lavorò all’opera del Duomo e alla villa di Rusciano,

oltre che a Palazzo Pitti. Domenico, detto «Topolino», nacque nel 1469 e morì nel 1519, non prima di aver fatto fortuna in Spagna: scolpì il monumento del principe Giovanni in San Tommaso d’Avila e disegnò quello del cardinale Ximenes; di Bernardo di Bartolo si sa solo che fu allievo del Perugino e che lavorò a Pisa, all’Opera della Primaziale, ovvero del Duomo. Ci furono poi Giovanni di Stocco, assai apprezzato dal Vasari per le sue sculture, e Chiarissim­o d’Antonio, che scolpì il Vulcano del Giardino di Boboli, e con lui siamo già al Seicento. Ecco Giovanni, ornatista, sempre a Boboli; Jacopo Antonio, autore della colossale statua del Nilo sulla fontana di piazza Navona a Roma; e ancora Giuseppe di Giovanni, che riedificò per conto del nobiluomo inglese John Temple Leader il castello di Vincigliat­a. Non ci si stupirà, allora, nel trovare, ancora, casa Fancelli in via de’ Fancelli. Sta ai civici 9-13, sommesso monito al viandante di non lasciarsi troppo prender dal pittoresco: qui non ci si confondeva in scorci e paesaggett­i, ma si lavorava, ancorché sottotracc­ia, all’arte più somma.

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