I seicento anni della Cupola (che rappresenta i nostri valori)
L’Opera del Duomo: 7 mesi di iniziative per il capolavoro del Brunelleschi
Un’impresa unica, mai realizzata prima né replicata dopo. «Frutto di quel piccologrande genio di Filippo Brunelleschi — era alto 153 centimetri — e del popolo fiorentino, dei suoi valori, che andrebbero riscoperti».
La Cupola del Brunelleschi da 40 anni incanta e affascina l’architetto Massimo Ricci, che ne ha fatto l’oggetto centrale dei suoi studi, e Ricci spiega perché quel capolavoro era ed è «irripetibile. Il massimo simbolo del Rinascimento e non solo».
La Cupola compie 600 anni e l’Opera di Santa Maria del Fiore la festeggerà con un programma di eventi che prevede anche concerti, spettacoli in prima assoluta, convegni, proiezioni notturne sul suo esterno e se oggi è visitata da quasi un milione di pesone ogni anno, già appena realizzata meravigliò il mondo. «La Cupola non ebbe “bisogno” del Grand Tour nato nel Seicento per entrare nell’immaginario collettivo, per essere conosciuta — dice Ricci — Fin dalla sua realizzazione fu visitata da persone ed artisti di tutto il mondo allora conosciuto, dalla Russia alla Spagna, oggetto di meraviglia e stupore ed i fiorentini ne andavano giustamente orgogliosissimi. Era un’opera così fuori scala, così “marziana”, strabiliante, che divenne immediatamente celebre. Allora come oggi, chi la guarda resta affascinato, non riesce neppure ad immaginare Firenze, e la storia dell’umanità, senza. E non ho dubbi: come nessuno ha mai neppure provato ad imitarla, a “rifarla” in passato, San Pietro ha una cupola tonda non a caso, nessuno proverà a farlo in futuro. La Cupola divenne e resta il simbolo più importante e riconosciuto del Rinascimento, del suo significato profondo». Quale? «Il dimostrare che l’uomo, con la ragione, può avventurarsi in azioni mai fatte e superare ogni sfida. Il Rinascimento mette l’uomo, non più Dio, al centro dell’universo e il “terribile” monumento del Brunelleschi ne è la sintesi perfetta e suprema».
Filippo Brunelleschi dovette lottare per affermare il suo progetto, vincere il concorso pubblico bandito nel 1418, e poi per dirigere il cantiere aperto nel 1420, per superare non solo le rivalità tra gli «archistar» dell’epoca ma anche sfide tecnologiche inedite poste dalla più grande cupola in muratura mai realizzata, con i suoi milioni di mattoni e le due «vele», la prima di 2,5 metri di spessore poi un metro di vuoto, poi la seconda leva di un metro di spessore. «C’era a Firenze un tessuto artistico, artigianale, tecnico molto ricco, botteghe di ogni arte, ma senza Filippo i fiorentini avrebbero perso la sfida — racconta ancora l’architetto — Avevano ancora la “piccola” cattedrale di Santa Reparata che davanti al duomo di Siena, di Orvieto, di Pisa sfigurava, e decisero di essere protagonisti assoluti, di realizzare una cattedrale così bella e grande che non sarebbero più stati raggiunti, con una cupola che doveva coprire un “buco” di 45 metri. Quel buco sarebbe rimasto senza Brunelleschi che inventò la cupola autoportante anche se ottagonale, senza armature, né rinforzi, chiusa da una lanterna. Con una tecnica rivoluzionaria che si portò nella tomba e tuttora non è stata disvelata. Ed inventò anche i macchinari per elevarla, che poi furono copiati da Leonardo, che da giovane assistè anche alla posa della palla con la croce che chiude la lanterna». Ambizione, certo, ma anche volontà di bellezza. «Alla base della Cupola non c’è il tamburo, ci sono i grandi valori di Firenze rinascimentale, oggi persi; il senso forte di comunità, la ricerca della bellezza, l’arte, la tecnologia più alta e innovativa. Alla base del Brunelleschi c’è tutto il popolo fiorentino». E non solo una metafora. «Non si fu solo il concorso, ma tantissime riunioni del popolo in cui si ascoltavano tutti i cittadini, dove ognuno diceva la sua, ma in un contesto di una tale padronanza dell’arte del gusto, del senso della bellezza, che creò quella ed altre opere incredibili, che la città era il centro della cultura, pittura, scultura, architettura, tecnologia. Tantissimi artisti vennero in città, ad esempio Rubens studiò a lungo la Cappella Brancacci con i suoi affreschi; e tutta la città, letteralmente, partecipò all’impresa». La storia ci dice che lo fece anche economicamente dato che non fu la Chiesa a pagare l’opera, ma la Repubblica. «Furono i fiorentini che finanziarono la sua realizzazione — sottolinea Ricci — Fu tutto pagato dai cittadini con due tasse messe apposta per l’Opera del Duomo, fondi che erano gestiti dall’Arte della Lana, dazi speciali alle merci in entrata ed
❞ Massimo Ricci È il simbolo del significato più profondo del Rinascimento: la dimostrazione che l’uomo può superare ogni sfida
❞ Alla base della Cupola ci sono il senso forte di comunità, la ricerca della bellezza, la tecnologia più alta e innovativa
uscita. Anche in questo si può dire che c’è un prima ed un dopo. Fu una rivoluzione a 360 gradi, basta pensare che oltre al genio di Brunelleschi, la cattedrale fu voluta gotica, ma senza i contrafforti esterni come invece ha il Duomo di Milano, per avere muri “puliti” che si alzano verso l’alto: è quello che giustamente viene definito “gotico fiorentino”, proprio perché nuovo e caratteristico».
E fu una rivoluzione anche estetica. «Era così grande e fuori scala, pensate alla meraviglia degli uomini del XV secolo che la vedevano, che segnò il panorama della città, divenne immediatamente “iconica” per usare un termine oggi di moda. Con il Campanile di Giotto ed il Battistero, formò un unicum che andò oltre ogni cosa fatta prima. Il panorama della città è diventato esso stesso simbolo del Rinascimento, di armonia ed inventiva. La fortuna della Cupola — conclude Massimo Ricci — è stata di essere così “enorme” in tutti sensi che nessuno ha mai pensato per un attimo di “avvicinarla” con altre costruzioni che avrebbero cambiato il panorama e la sua percezione. Grazie a Filippo Brunelleschi la Cupola è la migliore rappresentazione dei nostri valori. Un simbolo universale dell’uomo».