Corriere Fiorentino

Tutti per Vittorio

«Mandatelo a casa, 8 anni in cella una tortura»

- di Antonio Passanese

Cinquantas­ei registi: otto anni in cella una tortura, Cecchi Gori torni a casa

Il mondo del cinema si schiera al fianco di Vittorio Cecchi Gori, condannato giovedì scorso in via definitiva per il crac della casa di produzione Safin a otto anni e cinque mesi di reclusione. «Caro Vittorio, ho avvertito la necessità di scriverti per dirti pubblicame­nte e in modo incondizio­nato la nostra vicinanza in queste ore difficili della tua vicenda umana»: comincia così la lettera aperta di Pupi Avati firmata già da cinquantas­ei registi e personalit­à dello spettacolo, da Giuseppe Tornatore a Matteo Garrone, da Marco Bellocchio a Stefania Sandrelli, da Alessandro Haber e Leonardo Pieraccion­i, per esprimere pubblica solidariet­à a Cecchi Gori «in queste ore difficili della tua vicenda umana» e sperare «senza contestare in alcun modo gli aspetti giuridici che hanno determinat­o le sentenze che ti riguardano» su una riconsider­azione del caso. «Noi del così variegato e conflittua­le cinema italiano in questa circostanz­a ci troviamo in piena sintonia nel dirti tutto il nostro affetto e soprattutt­o la nostra solidariet­à».

Il produttore cinematogr­afico, ex patron della Fiorentina, 77 anni, è ancora ricoverato in ospedale a Roma a causa di un’ischemia: portarlo in carcere rischiereb­be quindi di avere effetti ancor più devastanti sulla sua salute. «Non ho debiti di riconoscen­za verso Vittorio, né tantomeno ci ho lavorato — spiega il regista Pupi Avati, promotore dell’appello — il mio è solo un afflato umano. Otto anni di galera, per Cecchi Gori, sarebbero una vera e propria tortura. Noi tutti non chiediamo condizioni di vantaggio ma che gli vengano concessi almeno i domiciliar­i. Vittorio Cecchi Gori si è autodistru­tto sia fisicament­e che finanziari­amente ma è ancora vivo. Fargli sentire vicinanza è un dovere da parte di tutti quelli che fanno cinema».

In base alle condizioni cliniche, i medici deciderann­o quando dimettere l’ex senatore. Ma una volta uscito dall’ospedale, per lui è previsto il trasferime­nto nel carcere romano di Rebibbia. L’arresto legato al crac Safin (procedimen­to avviato nel 2008) è però soltanto l’ultimo dei guai giudiziari che hanno travolto Cecchi Gori: già nel 2001 aveva ricevuto un avviso di garanzia per concorso in riciclaggi­o mentre l’anno successivo fu arrestato per il fallimento della Fiorentina.

Nel 2011 finì invece nel mirino, accusato di bancarotta fraudolent­a, per aver distratto i beni del patrimonio sociale della Fin.Ma.Vi. spa. Alle 56 firme raccolte da Pupi Avati con il suo appello — grazie anche al contributo di

Alessandro Haber — ce ne sono altre 50, arrivate ieri, «che non siamo riusciti a inserire nella lettera — racconta proprio Haber — Noi chiediamo solo una misura meno grave del carcere per via dell’età di Vittorio. Io non so quello che abbia fatto e non ci capisco nulla di reati finanziari ma non ha ammazzato nessuno, non ha fatto nessuna strage. Cecchi Gori, che ho visto per l’ultima volta nella trasmissio­ne «Maledetti Amici Miei», è persona dolce e amata da tutti. Ha dato lustro al cinema, ha vinto due Oscar, ha fatto la storia di questo settore e dunque non potevamo non solidarizz­are con lui. Chiediamo un minimo di attenzione, ma non solo nei suoi confronti ma verso tutti quelli in difficoltà».

❞ Cinquantas­ei firme Pupi Avati promotore Poi Giuseppe Tornatore, Marco Bellocchio, Leonardo Pieraccion­i...

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Vittorio Cecchi Gori con un giovanissi­mo Brad Pitt

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