DIVENTARE DISCIPLINATI
Dovremo abituarci a convivere con un’emergenza che durerà a lungo. Anche in Toscana. Il governo ha esteso a tutto il Paese alcune regole che dovrebbero servire a contrastare i contagi del coronavirus. È una svolta radicale, ma è inutile chiedersi se il provvedimento sia esagerato oppure no: una risposta univoca e certa non può esserci; c’è solo da attenersi alle indicazioni augurandoci che ottengano il risultato sperato.
Sarà dura: nella società dei diritti a tutto non siamo abituati alle rinunce, di qualsiasi tipo. E invece dovremo farne. E prima di tutto dovremo recuperare il pieno rispetto del prossimo, della comunità in cui viviamo, che ci chiede atteggiamenti responsabili.
Sarà dura soprattutto applicare il criterio della cautela più rigorosa cercando di continuare a fare una vita più vicina possibile alla normalità, perché di questo si tratta, in fin dei conti. Anche se la chiusura delle scuole fino al 15 marzo (confermata dopo ore e ore di incertezza, come se al ministero e a Palazzo Chigi ignorassero le implicazioni sociali di una misura così) metterà a dura prova l’organizzazione delle famiglie e, a catena, delle imprese. Altrimenti paralizzeremo noi stessi e, una città dopo l’altra, tutta l’Italia.
Sarà dura perché non siamo un popolo troppo propenso alla disciplina. Ma è ora di impararne un po’ senza perdere il nostro spirito creativo. Servirà anche questo. In una rivisitazione delle abitudini che coinvolgerà la vita privata e quella sociale. Dobbiamo affrontare una epidemia e, insieme, una gravissima crisi economica.
La Toscana sta nella terra di mezzo del coronavirus. Qui ci sono meno contagiati che al Nord, non abbiamo per ora zone rosse né focolai, la Regione sta mostrandosi efficiente. È un motivo in più per mantenere la ragionevolezza. C’è un tessuto di relazioni e attività da preservare. Anzi, da alimentare più di prima. A cominciare dal turismo che è precipitato in una sorta di buco nero.
Dai pericoli dell’overtourism siamo passati al rischio opposto, ancora più grave. Firenze può indicare la strada. Come ieri ha scritto Ermelinda M. Campani, direttrice della Stanford University, sul nostro giornale, la città deve impiegare questo tempo in apparenza morto per ripensare se stessa, attrezzarsi per un futuro che non sarà più come pensavamo. Come l’Italia del dopoguerra, la Toscana deve rialzarsi. Può farlo, con l’operosità che le è propria e con quell’ironia che è sempre stato uno straordinario atout in tutti i frangenti più delicati. Alziamo paratie, ma restiamo aperti. Idealmente e concretamente. Seppur a debita distanza.