Stop ai musei civici gratis Uffizi e Accademia deserti
Ero entrato in prima elementare con un anno di anticipo, per questo ero così giovane. Fino a poche settimane prima in classe alla Carducci in Borgo Pinti mettevamo le bandierine sulla carta geografica insieme alla professoressa, per seguire l’avanzamento delle truppe, i continui cambi di confini degli Stati. Segnavamo i territori occupati: l’Abissinia, l’Africa orientale, la Grecia, l’Albania...
Poi, nel ‘44, ci trovammo tutti a casa. Il primo giorno senza scuola eravamo tutti contenti, sembrava quasi una cosa piacevole. In quei primi momenti la presi come una vacanza, ci ritrovavamo con gli amici in piazza D’Azeglio a giocare con le palline di coccio e quelle di vetro colorate. E a nascondino. Ma durò poco perché i genitori ci chiusero presto in casa: i tedeschi facevano paura. Sono rimasto da solo per così tante settimane. Non avevo altri bambini nel mio casamento in via della Colonna 25. Avevo un grande giardino: gli alberi da frutto, l’orto di guerra con il radicchio e le erbe aromatiche.
I miei genitori durante la guerra si erano anche fatti un piccolo pollaio con sette-otto galline, per prepararsi al peggio. Ci giocavo, non le mangiavamo. Portavo loro da mangiare, andavo a prendere le uova. Erano diventati di casa quei polli. Le mie preferite erano due galline bianche livornesi che facevano uova con due tuorli addirittura.
Avevo paura ma anche voglia di vedere gli amici di scuola perché mi sentivo tanto solo e desideravo sapere cosa succedeva fuori. Mi faceva paura il silenzio. C’era talmente tanto silenzio che quando passavano le pattuglie tedesche sentivo rimbombare i loro passi.
L’isolamento è stato tremendo. Gli adulti uscivano poco e solo in certi orari, per approvvigionarsi d’acqua. Noi ragazzi mai. I miei mi facevano lezione a casa ma era tutto così approssimativo e irreale. A rimanere segregati, da bambini, ti manca l’aria, ti manca la compagnia, gli amici. Vi rendete conto che la mia amicizia più importante erano diventate le galline? Mia sorella aveva 18 anni più di me e non voleva giocare con me a soldatini, per questo passavo ore e ore a nasconderli nelle aiuole del giardino per far finta di organizzare agguati, e poi costruivo zattere che facevo navigare nelle due vasche che avevamo in cortile per far transitare le mie piccole truppe da una riva all’altra. Gli unici con cui potevo parlare erano, da una terrazza all’altra, il mio amico Giuliano Chiellini a sinistra, che era il figlio del friggitore storico di fronte alla scuola Carducci, faceva dei bomboloni meravigliosi, e i fratelli Vischi a destra. Giuliano era della mia stessa età, stessa classe, stessa squadra di calcio. La mia corticina confinava con la sua terrazza. I Vischi invece erano più grandi, uno anni dopo l’ho ritrovato usciere in Comune.
Li capisco i ragazzi di ora che dovranno rimanere chiusi in casa, da soli, per paura del virus. Mi dispiace che siano sempre più rari i casamenti come era il mio, con famiglie numerose e ragazzi della stessa età che si potevano ritrovare nelle corti. Ora sono tutti appartamenti separati, non ci sono più le corti comuni. Non ci si conosce nemmeno tra abitanti dello stesso palazzo. Sarà dura in casa da soli. All’inizio potrà sembrarvi bello dormire di più al mattino ma poi, fidatevi, la scuola si rimpiange sempre.
❞ Illusione Il primo giorno eravamo contenti, ma poi la scuola si rimpiange: io giocavo da solo con le galline...