L’EMERGENZA VIRUS E LE DUE FACCE DELLA GLOBALIZZAZIONE
Siamo tutti coinvolti nella guerra contro questo nuovo coronavirus, certo più pericoloso di quello dell’influenza, non fosse altro perché manca il vaccino. In Toscana abbiamo reagito bene, con prontezza e senza panico, grazie soprattutto alla compostezza dei cittadini. E speriamo che, insieme alla salvaguardia della salute dei toscani, vengano contenuti i danni all’economia.
Che la diffusione del coronavirus sia un effetto della globalizzazione è un’ovvietà. I cinesi di Wuhan, megalopoli di undici milioni di abitanti, vivono a stretto contatto con i cinesi di Prato e della Toscana. I contagiati toscani sono stati reduci da viaggi nelle zone dei focolai del nord Italia, oppure sono tornati da altre zone d’Italia in Toscana a trovare le proprie famiglie.
Il virus dell’Ebola, che aveva un tasso di mortalità compreso tra il 50% e il 70% delle persone contagiate, ci ha coinvolto meno perché è rimasto circoscritto ad alcune aree dell’Africa occidentale. La diffusione del coronavirus, insomma, si muove sulle rotte di una mobilità totale, favorita dalla globalizzazione. Ed è legata alla questione ambientale. In tempi non sospetti, il 26 luglio 2019, Ilaria Capua, la virologa che ha studiato l’epidemia aviaria, scriveva sulle pagine del Corriere della Sera: «Non possiamo essere gli artefici inconsapevoli (?) della selezione di batteri super killer e super resistenti agli antibiotici. Non possiamo più scaricare veleni nella terra e nelle falde acquifere». E invece in Cina, e non s oltanto, si avvicinano nei mercati, in modo più o meno consapevole, animali che vivono in ecosistemi molto distanti, animali esotici, pipistrelli, portatori sani di virus letali, e animali domestici. La cattiva globalizzazione è stata decisiva per diffondere il virus Covid-19. Ed è anche dovuta alla nostra irresponsabilità, alla contaminazione degli ecosistemi, che rende più vulnerabili le specie animali e infine l’umanità tutta. Quando l’umanità, nella sua volontà di potenza globale, abbatte ogni confine e sconvolge ogni ambiente naturale, diventa essa stessa vittima della sua potenza. Lo storico Kyle Harper ha dimostrato come il catastrofico declino dell’Impero romano sia stato causato da una miscela di mutamenti climatici e di epidemie prodotte proprio dall’azione dell’impero su una parte di mondo. Oggi non ci sono distanze tra Wuhan e Prato, tra le foreste tropicali e temperate dove vivono i pipistrelli, il secondo gruppo di mammiferi più numeroso dopo i roditori, e i mercati asiatici dove si vende di tutto, dai serpenti alla carne. E le epidemie sono molto più rapide. Tutti i virologi, pure divisi su tanti aspetti dell’epidemia, sono concordi nel ritenere che il virus provenga dai pipistrelli o da altri animali non domestici.
Per sconfiggere le epidemie abbiamo oggi un vantaggio rispetto ai tempi degli antichi Romani. Lo sviluppo della scienza e una buona globalizzazione, iniziata quando Capua, nel 2006, rese pubblica la sequenza del virus dell’aviaria, favorendo una concreta collaborazione scientifica mondiale. E tanti governi, a partire da quello cinese, hanno compreso, forse in ritardo, che ci si può difendere da una pandemia soltanto attuando un rigido piano di vigilanza e di monitoraggio globale. La buona globalizzazione contrasta l’«infodemia», l’epidemia di notizie false che per l’Organizzazione Mondiale della Sanità è una delle principali fonti di pericolo. E con la produzione del vaccino renderà, si spera presto, anche questo virus innocuo per l’uomo. Ma l’emergenza globale che stiamo vivendo ci costringerà a un’alternativa. Rincorrere con vaccini sempre più potenti i virus sempre nuovi che la distruzione degli ecosistemi fa proliferare o mettere al centro la salvaguardia dell’ambiente. Scelta non facile, ma sorretta dalla consapevolezza che non possiamo spadroneggiare sull’ambiente senza subirne le conseguenze.
❞ Alternative L’epidemia che stiamo vivendo ci pone a un bivio: rincorrere i vaccini o mettere al centro la salvaguardia del nostro ecosistema