Corriere Fiorentino

LA FALSA BELLEZZA

- Di Paolo Ermini

L’altro giorno un collega si è emozionato sentendo il rumore dell‘acqua alla fontana del Cellini in mezzo al Ponte Vecchio. Un altro si è stupito ascoltando il rumore dei passi in piazza San Giovanni. Improvvisa­mente è scomparso il rullio dei trolley sui marciapied­i del centro. E la distesa di cartoni che ogni giorno a ogni ora faceva bella mostra di sé davanti a casa mia si è ridotta a un paio di scatole. Flash. Esempi. Scorci di una città che i più giovani non avevano mai conosciuto, mentre chi è più in là negli anni ha rivissuto la stagione delle domeniche a piedi per lo smog oppure, ancora più lontani, i tempi della guerra. È una Firenze inedita, che fa riflettere. Ma è anche una Firenze più bella? Scrive Tomaso Montanari in un articolo comparso su Il Fatto Quotidiano di ieri intitolato «Cosa ci insegna (di buono) il virus»: «C’è poi un risvolto tutto italiano di questa lezione: quello che riguarda la decisa frenata della turistific­azione di città come Venezia e Firenze, che hanno perso improvvisa­mente circa la metà delle prenotazio­ni, e che in questi giorni appaiono belle e accoglient­i come non lo erano da trent’anni almeno. Una tragedia economica, un paradiso civile e sociale». Un paradiso?

Viviamo giorni carichi di tensione. Non solo per il timore del Coronaviru­s. Basta fare due passi e due chiacchier­e in città per capire che stiamo camminando sull’orlo di un baratro. Civile e sociale. La bellezza di una città non può essere solo estetica. Le città sono movimento, non immobilism­o. Ricchezza di vita e di mestieri. Luoghi di incontro. Anche con chi viene da culture diverse. Colpisce sì il silenzio di piazza Signoria, ma è il silenzio di una città vuota. Anzi, svuotata.

Questo giornale ha posto per primo a Firenze il problema dell’overtouris­m. Cioè dell’invasione crescente di un turismo arrembante, più assetato di outlet, pizze a taglio e gelati che di cultura. Per primi abbiamo denunciato la stortura degli Airbnb, che hanno dato una spinta decisiva alla fuga dei residenti dal cuore della città. Lo scenario adesso si è capovolto. Tanti palazzi del centro adibiti ad affitti turistici, e che da anni erano stati abbandonat­i dalle famiglie dei fiorentini, adesso sono desolatame­nte deserti. Un bellissimo bar dell’Oltrarno, punto di riferiment­o per molti, di recente si era convertito in una delle mille osterie per stranieri. Era sempre pieno. Ora è senza clienti. Sembra la legge del contrappas­so.

È un dramma senza alcuna bellezza. Che però non deve piegarci. Anzi. Possiamo sbagliare, ma siano convinti che niente tornerà come prima. E allora bisogna trovare una strada nuova. E se questa strada non esiste andrà aperta. Basta con la cultura della spremitura a ogni costo, dei torpedoni, delle carovane da far passare dai commercian­ti amici, del modello mordi e fuggi (e lascia scie di unto dappertutt­o). Economicam­ente ci saranno molte vittime. Fatalmente cadranno velocement­e i locali che attiravano i visitatori di un giorno. Bassa qualità e prezzi esagerati. In compenso bisogna investire da subito su tutto ciò che può essere legato all’identità vecchia e nuova di Firenze. Tante volte abbiamo scritto che tutti i più accreditat­i studi internazio­nali ci dicevano che il turista su cui puntare per sottrarsi alla morsa del degrado e dell’usura, non è quello che vuole vedere e comprare, bensì quello che vuole vivere la città insieme con chi la abita, ci lavora, ci dorme. È da qui che dovremmo ripartire per trovarci pronti quando la presa dell’epidemia si sarà allentata. C’è un turismo diverso da pensare e da affiancare a un’industria di prim’ordine. C’è una rete di servizi da rendere finalmente efficiente. C’è una città da costruire, insomma. Più bella che mai. E non disperata.

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