LA FALSA BELLEZZA
L’altro giorno un collega si è emozionato sentendo il rumore dell‘acqua alla fontana del Cellini in mezzo al Ponte Vecchio. Un altro si è stupito ascoltando il rumore dei passi in piazza San Giovanni. Improvvisamente è scomparso il rullio dei trolley sui marciapiedi del centro. E la distesa di cartoni che ogni giorno a ogni ora faceva bella mostra di sé davanti a casa mia si è ridotta a un paio di scatole. Flash. Esempi. Scorci di una città che i più giovani non avevano mai conosciuto, mentre chi è più in là negli anni ha rivissuto la stagione delle domeniche a piedi per lo smog oppure, ancora più lontani, i tempi della guerra. È una Firenze inedita, che fa riflettere. Ma è anche una Firenze più bella? Scrive Tomaso Montanari in un articolo comparso su Il Fatto Quotidiano di ieri intitolato «Cosa ci insegna (di buono) il virus»: «C’è poi un risvolto tutto italiano di questa lezione: quello che riguarda la decisa frenata della turistificazione di città come Venezia e Firenze, che hanno perso improvvisamente circa la metà delle prenotazioni, e che in questi giorni appaiono belle e accoglienti come non lo erano da trent’anni almeno. Una tragedia economica, un paradiso civile e sociale». Un paradiso?
Viviamo giorni carichi di tensione. Non solo per il timore del Coronavirus. Basta fare due passi e due chiacchiere in città per capire che stiamo camminando sull’orlo di un baratro. Civile e sociale. La bellezza di una città non può essere solo estetica. Le città sono movimento, non immobilismo. Ricchezza di vita e di mestieri. Luoghi di incontro. Anche con chi viene da culture diverse. Colpisce sì il silenzio di piazza Signoria, ma è il silenzio di una città vuota. Anzi, svuotata.
Questo giornale ha posto per primo a Firenze il problema dell’overtourism. Cioè dell’invasione crescente di un turismo arrembante, più assetato di outlet, pizze a taglio e gelati che di cultura. Per primi abbiamo denunciato la stortura degli Airbnb, che hanno dato una spinta decisiva alla fuga dei residenti dal cuore della città. Lo scenario adesso si è capovolto. Tanti palazzi del centro adibiti ad affitti turistici, e che da anni erano stati abbandonati dalle famiglie dei fiorentini, adesso sono desolatamente deserti. Un bellissimo bar dell’Oltrarno, punto di riferimento per molti, di recente si era convertito in una delle mille osterie per stranieri. Era sempre pieno. Ora è senza clienti. Sembra la legge del contrappasso.
È un dramma senza alcuna bellezza. Che però non deve piegarci. Anzi. Possiamo sbagliare, ma siano convinti che niente tornerà come prima. E allora bisogna trovare una strada nuova. E se questa strada non esiste andrà aperta. Basta con la cultura della spremitura a ogni costo, dei torpedoni, delle carovane da far passare dai commercianti amici, del modello mordi e fuggi (e lascia scie di unto dappertutto). Economicamente ci saranno molte vittime. Fatalmente cadranno velocemente i locali che attiravano i visitatori di un giorno. Bassa qualità e prezzi esagerati. In compenso bisogna investire da subito su tutto ciò che può essere legato all’identità vecchia e nuova di Firenze. Tante volte abbiamo scritto che tutti i più accreditati studi internazionali ci dicevano che il turista su cui puntare per sottrarsi alla morsa del degrado e dell’usura, non è quello che vuole vedere e comprare, bensì quello che vuole vivere la città insieme con chi la abita, ci lavora, ci dorme. È da qui che dovremmo ripartire per trovarci pronti quando la presa dell’epidemia si sarà allentata. C’è un turismo diverso da pensare e da affiancare a un’industria di prim’ordine. C’è una rete di servizi da rendere finalmente efficiente. C’è una città da costruire, insomma. Più bella che mai. E non disperata.