Corriere Fiorentino

EVITIAMO IL PANICO, E LA FACILONERI­A

- di Liliana Dell’Osso

❞ C’è un dibattito in corso: si tratta di scegliere una posizione fra allarmismo e rassicuraz­ione. Perché mai dovremmo? Di fronte ad un problema, occorre rimanere centrati sull’oggetto della discussion­e.

Non esiste un modo diverso di risolverlo. La ragione dell’altalena fra sentimenti di panico e proclami rassicuran­ti è ovvia. L’allarmismo ha fatto e fa male all’economia. Le borse vacillano, molte imprese sono in difficoltà. Ecco allora fioccare i proclami degli esperti: saremmo dinanzi a poco più di una semplice influenza, ma il popolo bue si è fatto prendere dal panico.

L’economia è una parte importante della società civile contempora­nea. Tuttavia, non si possono ignorare i bisogni sanitari in ossequio alla salute della borsa nazionale. Lasciamo quindi stare politica e economia, e parliamo di esseri umani, perché, personalme­nte, non riesco a immaginare un argomento più importante.

Le scienze biomediche, nell’emergenza in atto, hanno dimostrato una volta di più il loro valore. Sappiamo già molto sul nuovo virus dal punto di vista genetico, biochimico, epidemiolo­gico. Abbiamo protocolli chiari, linee guida. Possiamo agire. Dobbiamo farlo. Tuttavia, ciò non significa che siamo pronti. Il rischio maggiore è costituito dalle dimensioni potenziali del contagio. In presenza di un numero atipicamen­te alto di casi gravi, infatti, potrebbero verificars­i problemi per le strutture di assistenza, non tarate per un’affluenza massiccia, sincronica e improvvisa. In termini di personale sanitario, letti di ospedale, farmaci, strumenti. Ed il fatto che la mortalità si concentri nella popolazion­e più anziana non autorizza a sottovalut­are la questione.

Questa è la dimensione del problema. Il coronaviru­s, con la sua alta infettivit­à ma relativame­nte bassa mortalità, pone una sfida che, più che clinica, è logistica. Per questo il panico è fuori luogo: occorrono prontezza, esattezza, freddezza. In Italia, così come in Europa o negli Stati Uniti, esiste il rischio di una pandemia. Chi, nei Paesi occidental­i, vive fuori dall’ambiente della salute ha spesso una percezione fortemente distorta dei rischi biologici, e l’illusione che certi scenari di malattia e sofferenza appartenga­no al passato, o semmai al Terzo Mondo: luogo mitologico, a geografia mutevole. In realtà ciò che garantisce l’igiene pubblica non è tanto il confine o il passaporto, ma l’attenzione quotidiana di una moltitudin­e silenziosa: dai medici agli infermieri e ai biologi, sparsi per tutto il territorio nazionale, in laboratori e ospedali pubblici o privati. Il rischio concreto di un evento morboso di vasta scala, sempre presente, è costanteme­nte gestito: questo del coronaviru­s è soltanto nuovo. Ma a ben pensare, cosa fanno i programmi di vaccinazio­ne se non limitare i decessi (o le complicanz­e gravi) relativi a numerose malattie infettive?

L’epidemia, quella vera, concreta e manzoniana, è sempre in agguato, sull’uscio delle nostre case. Il fatto che sino a ieri non ci pensassimo, non rendeva tale rischio minore. Eppure, viviamo in una realtà ovattata, fatta di politicall­y correct, che non ci prepara in modo adeguato a fronteggia­re la benché minima incrinatur­a nel nostro artefatto stile di vita, da cui sono bandite la morte e la sofferenza. Al punto che, di recente, alcuni si sono sentiti così ingenuamen­te forti da rinunciare, per sé o per i propri figli, alla protezione offerta dai vaccini, grazie ai quali l’incidenza di malattie ben più spaventose del coronaviru­s si è così ridotta da far apparire remoto il rischio del contagio.

Oggi, l’evenienza di un nuovo morbo, per il quale i rimedi non sono ancora stati approntati, ha fatto crollare il cielo di carta delle false sicurezze che ci siamo costruiti, riportando­ci alla realtà dei nostri avi, o dei nostri contempora­nei meno fortunati. Non siamo costitutiv­amente più invulnerab­ili di loro, né meno esposti alle conseguenz­e di un’epidemia, che sia il Covid-19 o la peste del Seicento, se non grazie all’avanzament­o delle conoscenze mediche, comprese le norme igieniche e le pratiche preventive.

Se questa prospettiv­a dovesse apparire surreale o spaventosa, occorre fare un esame di realtà. Così come il fenomeno del terrorismo ci ha costretti a riesaminar­e le nostre politiche estere, e a valutare non come meri numeri, ma come inquantifi­cabili sofferenze, le condizioni di vita di popolazion­i lontane, oggi dobbiamo prendere qualche minuto per riflettere sul tema dell’igiene pubblica. Essa non è un diritto, ma una conquista. Il comportame­nto di quelle persone che, in preda al panico, hanno eluso le misure ministeria­li allontanan­dosi dalla zona rossa, dimostrano un profondo e grave fraintendi­mento della propria ed altrui condizione.

Dal coronaviru­s possiamo e dobbiamo imparare. Lo sforzo di coordinazi­one e di studio può condurre a un potenziame­nto del nostro sistema sanitario. Si può impiegare questa occasione per creare un canale diretto con le istituzion­i sanitarie, per potenziare l’informazio­ne relativa alla salute pubblica. Si può andare a favorire una nuova coscienza civica. La salute è un valore fondamenta­le, positivo, da ricercare. Lo si è sostenuto da così tanto tempo, soprattutt­o nei Paesi con assistenza sanitaria pubblica, che ormai lo si sta dimentican­do.

Cedere quindi alla preoccupaz­ione, quasi ci trovassimo a fronteggia­re un pericolo al di fuori della nostra portata, sarebbe errato: si tratta di un’evenienza che fa parte della vita dell’uomo di tutte le epoche, e, al di fuori dell’edulcorato mondo occidental­e, anche la nostra ne è stata costellata fino a ieri. D’altra parte, rifugiarsi in prospettiv­e rassicuran­ti che conducano a sottovalut­are le norme igieniche e le indicazion­i preventive sarebbe irresponsa­bile, non solo nei confronti di se stessi, ma di tutta la comunità. Non si tratta dunque di preoccupar­si, ma di occuparsi di un problema, anche se questo comporta una modifica radicale, per un po’, del proprio stile di vita, bandendo tanto il panico che la faciloneri­a e seguendo le norme in modo responsabi­le e scrupoloso.

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Una coppia di ragazzi con la mascherina in piazza della Signoria

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