Dal carcere Punzo racconta 30 anni di teatro con i detenuti
Personaggi Punzo nell’88 ha portato il teatro nel carcere di Volterra, ora racconta la storia in un libro «La Compagnia della Fortezza è un prodotto toscano doc. Adesso lo esporto in altre 12 città d’Italia»
Guardandosi indietro Armando Punzo ha capito che qui e solo qui poteva nascere la sua Compagnia della Fortezza. Qui a Volterra, si intende, e dunque in Toscana. «Quando ci sono arrivato, nell’83, io che ero nato a Napoli, non lo sapevo ancora — ci dice — che a Firenze sarebbe stata scritta la Legge Gozzini (quella firmata dal senatore fiorentino della Sinistra Indipendente Mario Gozzini, nell’86, e volta a individuare nella pena detentiva non solo una limitazione della libertà ma un’occasione di rieducazione ndr.) E non sapevo neanche che la Toscana era stato il primo stato al mondo ad abolire la pena di morte (il 30 novembre del 1786 con l’emanazione del nuovo Codice Penale del Granduca Pietro Leopoldo ndr.)».
Un tale concentrato di attenzione al tema delle carceri, una tale sensibilità legata alla storia politica e sociale di questa terra, sono il presupposto che ha consentito di rendere possibile l’utopia della sua Compagnia. Quella nata nel carcere di Volterra e che da 32 anni fa teatro ogni giorno, mattina e sera con i detenuti, anche la domenica. Quella che gli fa dire: «La mia compagnia è un prodotto doc della Toscana». Armando Punzo questa storia l’ha scritta nel libro uscito recentemente che s’intitola Un’idea più grande di me, ed è la sua autobiografia, sotto forma di ricordi, trasferita su carta in un dialogo con Rosella Menna (Luca Sossella editore). È un appuntamento importante anche perché di poco l’avvio dei lavori per la realizzazione del teatro stabile dentro il carcere dove finora la Compagnia della Fortezza ha usato locali di fortuna, «in due aree — spiega lui — oggi adibite a zona di passeggio».
Per il progetto il provveditorato alle Opere Pubbliche ha stanziato 1 milione e 200 mila euro. La Regione Toscana ha fatto da capofila del dialogo tra lo stesso Provveditorato, il Comune di Volterra, i ministeri coinvolti e la Soprintendenza. Adesso il piano di interventi parte davvero. E Si inizia dagli scavi preliminari che dovranno dirci se lì non ci sono resti archeologici da tutelare o se mattone dopo mattone potrà, senza ostacoli, nascere il teatro.
Il radicamento con la costruzione della struttura stabile, per altro, arriva quando, con il sostegno di 12 fondazioni bancarie, l’esperienza di Punzo sta per trasferirsi in altrettante carceri di città italiane, da Palermo a Torino fino a La Spezia. Un momento di raccolta di tanti frutti, dunque, per il regista napoletano che ha sposato l’utopia con enorme successo — tanti i premi Ubu, le richieste di spettacoli in giro per Festival e teatri d’Italia — ma anche di memorie, perché:«Questo libro io avevo bisogno di scriverlo per me e per dare il giusto senso a un’esperienza che a tratti è stata raccontata in maniera esotica».
Partito nell’88 il lavoro della Compagnia di Punzo ha dato vita a spettacoli memorabili come Marat-Sade di Peter Weiss che gli è valso un Premio Ubu così come I Negri di Jean Genet e La Prigione di Kennet Brown e poi il ciclo Shakespeare. Adesso sta lavorando alla seconda parte dello spettacolo Naturae che coinvolge una compagnia di 87 detenuti. Tappa su tappa un lavoro in crescita condiviso da chi è costretto fuori dal contesto sociale. «Questo libro, per me, significa tante cose, lo considero come un romanzo di formazione, anche per la conversazione che, nelle pagine, prende vita tra me e Rossella Menna, molto più giovane di me. Ed è un romanzo di formazione volto a dimostrare una mia convinzione. Quella che mi fa dire: “non è vero che, crollate le utopie e le ideologie, non c’è spazio per sogni e progetti o per cambiare il mondo. E noi ne siamo la prova». Punzo ricorda di essere arrivato a Volterra nell’83 per partecipare al Gruppo Internazionale L’avventura. «Finita questa esperienza scelsi di restare qui e di fare una Compagnia dentro il carcere. Ebbi parere favorevole in un mese. Dove sarebbe potuto accadere se non qui? Da allora abbiamo ribaltato la storia di questo luogo trasformandolo da Istituto di pena a Istituto di Cultura. Facendolo diventare parte integrante della città — qui arrivano spettatori, registi, scuole — invece che un corpo a sé come accade a tutti gli altri penitenziari». Non che questi anni siano stati sempre facili: «di ostacoli — aggiunge — ne ho incontrati tanti, venivano a volte dall’alto, a volte da qualche agente che mal vedeva la nostra esperienza o anche da qualche detenuto. Ma ho sempre pensato che gli ostacoli dovevo trasformarli in opportunità e in progetti». Grazie a questo ottimismo della volontà oggi Armando Punzo — lo ha fatto anche nel libro — inanella ricordi positivi: «Come quella volta che un detenuto chiese di restare in carcere un giorno in più per prendere parte a uno spettacolo, o la prima tournée fuori nel 2004, o, ancora, la scoperta, meravigliosa, da parte di Matteo Garrone, di Aniello Arena. Lui, Garrone, venne in carcere durante delle prove, che io sono solito filmare. Quando lo vidi interessato gli passai la telecamera e gli dissi “chi meglio di te può filmare?”. In scena c’era Aniello, sudato e vestito da clown. Matteo lo filmò e poi lo portò sul set di Reality. Oggi che Arena è uscito dal carcere è ancora una volta protagonista di un film, Ultras di Francesco Lettieri. Se non è una vittoria questa?»
❞ Memorie Tra i momenti più belli ricordo quello in cui un detenuto a fine pena chiese di restare ancora in carcere per partecipare a uno spettacolo con noi