Al bar, alle casse Vicini vicini, altro che regole
In coda, vicini vicini, per prendere il pane alla Coop di via Cimabue. E anche nei bar, negozi e ristoranti di Firenze il risultato è lo stesso: la distanza di un metro in pochi la rispettano.
Un metro. Una falcata lunga o due passi normali. Nei giorni del coronavirus la distanza fisica tra le persone è diventata un limite di civiltà, uno spazio di salute. Perché 100 centimetri sono la misura minima in cui il droplet non è efficace — si tratta delle gocce espulse dalla bocca quando si ha la tosse, il raffreddore o semplicemente si parla veicolando il virus — e si limita notevolmente il rischio di contrarre il «corona». Nonostante le regole e i divieti indicati dal governo, e rilanciati dalle Asl e dalla Regione, bar, negozi, ristoranti e supermercati di Firenze provano a far rispettare il decalogo e le distanze di sicurezza, ma in pochi li rispettano.
«Non sappiamo come fare qui è un gran casino. Speriamo di non ammalarci». Lo confessa, in modo candido, una delle tre addette alla panetteria della Coop di via Cimabue. I clienti sono poggiati al bancone, uno accanto all’altro, mentre la commessa taglia schiacciate e pizze: parlano, qualcuno starnutisce (ma la cosa non sembra impensierire nessuno), altri si salutano con strette di mano, abbracci e baci. Uno appiccicato all’altro. «Paura di contrarre il coronavirus? Nessuna — se la ride Egidio, 83 anni — Non ho alcuna intenzione di rinchiudermi in casa, io continuo a fare la vita di sempre. Tanto di qualcosa bisognerà pur morire...».
Anche al banco del pesce stessa situazione: tante persone in coda in attesa di essere servite. Sono senza mascherina (anche se la dovrebbe indossare chi è potenzialmente portatore di contagio sarebbe una precauzione in più) e a meno di 5 centimetri di distanza. Una donna, per evitare contatti, entra nel supermercato con il volto completamente coperto da una sciarpa dando spintoni a chiunque le si avvicini: «Scusi non è maleducazione. È una questione di sicurezza», si giustifica con chi la guarda male. Anche all’Esselunga del Galluzzo le cose non vanno meglio: tutti pigiati alle casse, davanti alla salumeria, al macellaio e alla pescheria. Nei corridoi della verdura, a un certo punto, c’è una tale confusione che semmai qualcuno fosse positivo (anche) senza saperlo «impesterebbe tutti in un nanosecondo», dice una donna che cerca di uscire da quel groviglio di carrelli e ortaggi. Stesso
discorso per il Conad di via de’ Bardi, dove a parte un cartello nessuno controlla, e per quello minuscolo di via Santa Monaca, in Oltrarno: tutti in fila alle casse, calca ai banchi.
Se nelle palestre la protezione da droplet pare applicabile (anche se resta il problema degli spogliatoi), nei musei si alternano situazioni in cui la gente si tiene a distanza a situazioni in cui si è pigiati l’uno con l’altro.
Agli Uffizi, per esempio, ieri c’era giusto un po’ di calca all’ingresso principale, va detto però che i custodi erano ben attenti a tenere i visitatori lontani. Lunghe code, senza alcuna distanza di sicurezza, per la cattedrale e per visitare il Cupolone del Brunelleschi: nonostante una piazza completamente libera, i turisti hanno preferito attendere il proprio turno vicini vicini. Va malissimo nei bar e nei negozi del centro e della periferia: «La direttiva del governo è difficile da applicare. Chi glielo dice al barista che deve distanziare i clienti al banco?», spiega un cameriere di Scudieri. Il decreto parla di sole due persone per tavolino. Un vincolo facile da scrivere, ma a ben vedere difficile da far rispettare più del metro di sicurezza.
Da Revoire di piazza della Signoria la cameriera è stremata: «A noi hanno ordinato di far rispettare queste regole, ma poi quando ti arriva la gente per mangiare e sono gruppi di 6 o 7 persone, come si fa ad impedirgli di unire i tavolini?». Impressionante la calca di ieri mattina nei mercati di San Lorenzo e Sant’Ambrogio, in alcune panetterie e macellerie di via Pisana, nella gelateria La Carraia: «Avanti così diventeremo anche noi zona rossa e saremo rovinati. Noi sappiamo dell’ordinanza perché leggiamo i giornali, ma nessuno ci ha informato direttamente», si lagna una dipendente. Infine, il caso più emblematico è quello della Farmacia del Pignone in via Pisana: alle 11 di ieri mattina già una quindicina di persone in coda, e tutte all’interno dell’attività: «Forse si sta un po’ esagerando, così si aumentano ansia per i cittadini e disagi per i commercianti — azzardano due ragazzi — Qui ci sentiamo al sicuro». Beata gioventù. Anche se l’indisciplina sembra non avere età.