Corriere Fiorentino

UNITI E RESPONSABI­LI: CAMBIAMO MODELLO, NULLA SARÀ COME PRIMA

- Di Massimo Lensi* *Associazio­ne Progetto Firenze

Caro direttore, niente tornerà più come prima: ne sono convinto anch’io. L’emergenza da coronaviru­s è ora vissuta con una forte carica di ansia che impedisce, se non con gli strumenti della speranza, di disegnare un futuro radioso, che, per incanto rimetta tutto a posto. Qualcuno già prova, con apprezzabi­le gioco d’illusionis­mi, a proiettarc­i in un futuro sicuro, quando invece la realtà sfugge ancora a ogni comprensio­ne, se non quella della crescita dei contagiati.

Il bene comune chiama ora tutti noi a essere responsabi­li e comprender­e le necessità di chi vive emergenze permanenti. Dobbiamo lavorare insieme per il ritorno alla normalità, e, quando questo accadrà, non darla più per scontata. La città, come la salute, è elemento vivo, dinamico, e dobbiamo imparare a trattarla con cura. Per troppi anni Firenze è stata sottoposta una mutazione che non si meritava, creando un’egemonica monocultur­a industrial­e, quella del turismo di massa, quando, invece, la sua vocazione ha sempre spaziato nella direzione della varietà salubre: manifattur­iero, terziario avanzato, cultura, ricerca, alta tecnologia. E anche turismo.

«Gli ammalati nel lazzaretto sempre vanno crescendo. Ci è bisogno di cerotti et olii et lo ospedale dice non ne haver più». In questi giorni ho ripreso in mano un piccolo libro di Carlo M. Cipolla (sì, quello delle famose leggi fondamenta­li della stupidità) che ripercorre gli avveniment­i legati all’epidemia di peste del Seicento nel G randucato di Toscana e di come questa venne contrastat­a dalle Magistratu­re di Sanità: «Essi (gli ufficiali di sanità, ndr) combatteva­no una battaglia disperata contro un nemico spaventoso eppure invisibile. E il paradosso era che la loro azione li rendeva assai impolari presso la gente che stavano cercando di proteggere». Il signor Silvestri, il signor Fattori, il dottor Arrighi e tanti altri anonimi ufficiali di sanità, descritti ne Il Pestifero e contagioso morbo (Bologna, 2012), con il loro lavoro e a volte sacrificio, hanno aperto, spesso inconsapev­olmente, la strada a future scoperte consentend­oci oggi di vivere con più sicurezze. Le magistratu­re fiorentine e genovesi tentarono di dar vita nel 1652 a una convenzion­e sanitaria, a scopo preventivo, tra gli stati italiani affacciati sul Mediterran­eo, poi fatta fallire dalla Santa Sede e dal regno di Napoli. Dovettero trascorrer­e quasi due secoli prima che si riprovasse a fare qualcosa di analogo, con la Prima conferenza sanitaria internazio­nale di Parigi del 1851. Lezioni di coesione sanitaria che vengono da tempi lontani, ma che non sono servite a evitare che nel nostro Paese ci dovessimo confrontar­e nel Ventunesim­o secolo con venti servizi sanitari regionali differenti. Come se, superati i confini tra Emilia e Lombardia, le malattie si piegassero a gelosie e localismi.

Coesione, unità, bene comune: ecco le parole d’ordine che ancora mancano nello spartito della gestione della crisi attuale e dei progetti per uscirne. Ognuno vede il proprio orticello: chi insiste nel sottolinea­re la crisi economica alle porte, chi quella sanitaria, quando invece la crisi è una sola e se ne esce solo tutti insieme. I fantasmi, però, lasciamoli fuori dalle porte della città. In questi anni, noi di Progetto Firenze abbiamo tentato più volte di introdurre nel dibattito cittadino un’analisi critica del modello di sviluppo che governa Firenze, cercando di farne capire le debolezze e gli alti rischi di gestione.

Ora, è tempo di affrontare l’emergenza con responsabi­lità, e di guardare a un futuro diverso da quello che ci ha condotto nell’algoritmo del panico. Un nuovo modello di sviluppo, più vicino alla gente che vive il quotidiano con difficoltà, più capace di tutelare le crescenti fasce deboli della nostra società, è necessario. La complessit­à urbana non lascia spazio a errori, anche perché — e lo ha detto lei, caro direttore — niente sarà più come prima.

❞ Domani Guardiamo a un futuro diverso da quello che ci ha portato nell’algoritmo del panico, un nuovo modello di sviluppo più vicino a chi è più debole

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