Corriere Fiorentino

Lui e la giraffa Andrea del Sarto e il camelopard­o delle sue passioni

Andrea del Sarto dipingeva con grande naturalezz­a, e in Santissima Annunziata rese geniali gli amici Si innamorò della superba Lucrezia, che però lo maltrattav­a. In lei vide la giraffa di Piero di Cosimo

- di Enzo Fileno Carabba

Andrea del Sarto imparò i rudimenti del disegno da Gian Barile, un individuo rozzo e plebeo, che quando non dormiva era ubriaco, dipingeva bevendo e lo trattava male. Andrea aveva un ingegno così profondo che a prima vista non lo vedevi. Quello che si notava subito era il suo carattere semplice e dimesso, che gli faceva accettare i maltrattam­enti. Però un giorno non ne poté più e passò nella bottega di Piero di Cosimo, pittore raffinatis­simo che gli volle bene.

Le stranezze di Piero con la vecchiaia si accentuaro­no e Andrea cominciò a provare un eccezional­e desiderio di normalità. Piero non faceva che parlargli di una giraffa che era stata donata a Lorenzo il Magnifico nel 1487 e tutta la città si era innamorata di lei. Lo stesso Piero l’aveva ritratta (nel dipinto Vulcano ed Eolo). Quella giraffa era attenta a tutto e nello stesso tempo superiore, ti guardava dall’alto in basso. Quando le offrivi da mangiare lo prendeva dalle tue mani chinandosi con grazia e degnazione, quasi che tutto le fosse dovuto. Era una regina dai movimenti soavi. E aveva una particolar­e sensualità quando fissava il cielo notturno, come se, piena di desiderio, cercasse le stelle perdute del mondo da cui veniva. Quando Andrea conobbe il pittore Franciabig­io mise su bottega con lui: almeno non avrebbe più sentito la storia della giraffa. Cominciò a dipingere nel Chiostro dello Scalzo, luogo in cui avrebbe lavorato per anni, a più riprese. Si separò dal Franciabig­io perché lo trattava troppo bene e divenne amico di Jacopo Sansovino. Un frate della Santissima Annunziata gli disse: «Vieni a dipingere da noi, non ti aspettare un pagamento, e neanche di essere pregato. Dovresti anzi ringraziar­e per l’occasione». Questo lungimiran­te religioso era in anticipo sui tempi, a quell’epoca un discorso del genere equivaleva a trattar male. Ad Andrea piacque, si sentì stimolato e accettò. Anche in questo luogo lavorò a più riprese per molti anni, con allievi che lui, proprio lì, rese geniali.

Andrea dipingeva con velocità e naturalezz­a, senza fatica. Quando, in altre occasioni, provò a sforzarsi, non fu molto lodato. Nel refettorio di San Salvi si lasciò andare e fece miracoli. Era povero ma se la cavava. Si innamorò di una giovane donna bellissima, che abitava in via San Gallo ed era sposata a un berrettaio. Non intendo parlarne male. Lucrezia era superba e guardava tutti dall’alto in basso, come se tutto le fosse dovuto, si sentiva una regina, anche se suo padre era un individuo povero e vizioso. Si faceva volentieri corteggiar­e e intrattene­re dagli uomini, che gestiva come topolini ammaestrat­i. Quando il marito morì, lei sposò Andrea che per lei era disposto a tutto e smise di aiutare i genitori per dare i pochi soldi che aveva alla famiglia di Lucrezia. Diventò anche molto geloso, perché lei lo tormentava facendosi ammirare.

Andrea cambiò e gli amici non lo cercavano più. A parte i più eroici, come Becuccio Bicchierai­o, artista del vetro che veniva da Gambassi. «Lui è un bicchierai­o, e tu sei figlio di un sarto» diceva lei con disprezzo. Andrea trovava segretamen­te stimolanti i maltrattam­enti di lei. Così le rispondeva «E tu sei la vedova di un berrettaio» per farsi trattare ancora peggio. Un giorno Andrea capì quello che per noi è ovvio: lui vedeva in lei la giraffa di Piero di Cosimo,

in qualche modo l’affascinan­te animale di cui gli parlava il suo maestro l’aveva raggiunto. Si ricordò un discorso che gli aveva fatto Leonardo da Vinci. Il camelopard­o (così chiamavano la giraffa, pensando fosse un incrocio tra il cammello e il leopardo) era un animale lussurioso. Questa illuminant­e fandonia non fece che alimentare la sua gelosia, che prendeva alimento da qualsiasi cosa, perfino dalla realtà. «Sei così perfettino» gli diceva lei. Lo aveva soprannomi­nato Maiunerror­e. Lasciando intendere che gli uomini imperfetti le piacevano di più. E il problema è che di uomini imperfetti ne trovi ovunque in quantità. Quando doveva dipingere una bella donna dipingeva lei e solo lei, con il suo collo lungo. La possiamo vedere, per esempio, nella Madonna delle Arpie,e anche nella Disputa sulla Trinità, opera in cui è ripresa con chiarezza la posa della giraffa nel Vulcano ed Eolo di Piero di Cosimo. Andrea ebbe la straordina­ria occasione di lavorare in Francia, chiamato dal re Francesco I, che si innamorò della sua naturalezz­a artistica. Tutto andava bene, Andrea stava abbandonan­do la povertà per approdare alla gloria. Ma in verità gli mancava qualcosa, sentiva la vena artistica affievolir­si. Aveva bisogno non solo di vivere, ma anche di ripensare. Già una volta, a Roma, aveva sentito il bisogno di andar via per ripensare a quello che stava vedendo. E poi gli piaceva raccontare le cose a Lucrezia, per sentire le sue reazioni energiche. Da Firenze arrivarono una serie di lettere della moglie in cui parlava male di tutti e bene di sé. E poi era così piena di ammiratori! Era bravissima ad apparire come vittima. Andrea se ne rendeva conto. La amava anche per questo. Gli mancavano i suoi maltrattam­enti, le sue lunghe dita, la sopraffazi­one, quell’amore tossico. Così tornò e fecero faville insieme. Solo che aveva abbandonat­o il re di Francia con una scusa assicurand­ogli che sarebbe tornato presto e non tornò mai. Francesco I per diverso tempo non volle più pittori fiorentini tra i piedi, e disse che se gli fosse capitato Andrea tra le mani gli avrebbe procurato un grosso dispiacere. Andrea riuscì a sfuggire alla vendetta del re di Francia ma perse l’occasione per cambiare vita. Nella villa Medicea di Poggio a Caiano raffigurò molti animali e soprattutt­o lei: la giraffa (una vera giraffa) nella solita posa di profilo. Fece un quadro con Giovanni Battista mezzo nudo, per mandarlo in Francia e recuperare i rapporti con il re. Lucrezia lo guardò in un certo modo e lui non lo mandò mai. Una volta disse alla moglie: «Senti, mi avanzano dei colori, se vieni qui ti faccio un ritratto su una tegola» lei si offese e Andrea dipinse un autoritrat­to. Poi lui si ammalò di peste e lei gli stava più lontano possibile, per paura del contagio. Andrea guardò il languido splendore del camelopard­o all’orizzonte e disse: «Siamo stati bene insieme». Ed era vero.

43. continua. Le altre puntate: 13-27/11 e 11-31/12 2016; 22/1, 5-26/2; 12-26/3; 30/4, 28/5, 11/6, 9/7, 8/10, 19/11, 1727/12 2017; 10-20/1, 21/2/, 13/3, 26/4; 6/6/, 11-21/7, 5-12/8, 1711/2018, 2/1/31-1, 23/3 2019, 26/4, 7/5, 12/6, 24-7, 27/12 2019, 2-7-18/1/, 9/2, 6/3 2020

❞ Quando doveva ritrarre una bella donna faceva solo lei, con il suo collo lungo

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 ??  ?? Sopra un particolar­e del Cenacolo di San Salvi, a destra l’amata Lucrezia nel dipinto «Madonna delle arpie» (Gallerie degli Uffizi)
Sopra un particolar­e del Cenacolo di San Salvi, a destra l’amata Lucrezia nel dipinto «Madonna delle arpie» (Gallerie degli Uffizi)
 ??  ?? Al centro Andrea Del Sarto, «Autoritrat­to» (1528 circa), Gallerie degli Uffizi; sopra la giraffa nel «Tributo a Cesare» (Villa Medicea di Poggio a Caiano)
Al centro Andrea Del Sarto, «Autoritrat­to» (1528 circa), Gallerie degli Uffizi; sopra la giraffa nel «Tributo a Cesare» (Villa Medicea di Poggio a Caiano)
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