Lina e le pulizie nella rianimazione «Piango per i malati, temo per me»
Ogni giorno entra in rianimazione e lavora tre ore: «È come se fossero 10»
«Io sto male, sto male, sto male». Lina Noviello lo ripete tre volte. E mentre lo ripete, piange. Piange per la tensione, per la stanchezza, per la paura. Lina, 55 anni, è addetta alle pulizie di una cooperativa di servizi. Da diciotto anni lavora all’ospedale Santo Stefano di Prato. «Non avevo mai visto una cosa del genere». Il suo lavoro è diventato surreale. «Sono la più esperta tra gli addetti dell’ospedale, per questo hanno scelto me per pulire il reparto di terapia intensiva». Tutti i pomeriggi, dalle 15 alle 18, entra nelle stanze della rianimazione per sanificare gli ambienti.
L’arrivo in ospedale, poi la vestizione con la tuta protettiva bianca, la mascherina, la visiera, il cappuccio. E naturalmente i guanti, tre paia uno sopra l’altro, per essere più protetti. Poi si entra. E ogni volta un tonfo allo stomaco. «Vedo malati di coronavirus sui letti. I loro polmoni sono collegati ai macchinari. Fa male vederli in quel modo, fa male vederne così tanti in fin di vita. Nessuno di loro è cosciente, sono tutti intubati, i loro volti sembrano doloranti. Soffro per loro e ho paura per me, temo che i loro batteri possano entrare nel mio corpo. In questo momento ci sono dieci casi positivi collegati ai respiratori, c’è un giovanissimo ragazzo di 30 anni, un altro di 39, un signore di 51, e poi tanti over 70. L’altro giorno ho visto un signore che ha smesso di respirare. Ho fatto ampi gesti all’infermiera per dirgli che secondo me stava morendo». Quel paziente è morto il giorno successivo.
Lina ha un compito preciso. «Entro nel reparto con un panno di carta monouso e una tanica di sanificante. Strofino ogni singolo oggetto che toccano medici e infermieri, perché quell’oggetto potrebbe essere contaminato». Un lavoro capillare, e decisivo: «Passo il panno sui macchinari, sui letti, sui telefoni, sulle tastiere, sulle penne, sui fogli. Qualsiasi cosa potrebbe essere contaminata. Guardo quello che toccano le mani degli infermieri e mi precipito a disinfettarlo, è una corsa all’infinito». Tre ore di pulizie è come se fossero dieci: «Dentro la tuta fa caldo, si suda, il sudore appanna la visiera e talvolta diventa difficile perfino guardare davanti a me. In quei momenti mi prende lo sconforto».
Ha paura Lina: «Potrei infettarmi anch’io. Mentre lavoro penso al mio nipotino che non posso vedere da due settimane, mi manca tantissimo». Non è facile resistere: «Ho pensato di mollare, ma non posso permettermelo. Senza lavoro, non saprei come pagare l’affitto. Sono separata e non ho nessuno che mi mantiene». Certo non è facile.
La tensione è quotidiana. E lo stipendio non è dei migliori: «Mi pagano 6 euro l’ora, che alla fine del mese fanno circa 900 euro. Mi chiedo chi me lo fa fare, ma forse è giusto così, in questo momento dobbiamo pensare all’Italia che soffre».
Lina, in questi giorni difficili, non è l’unica addetta alle pulizie nelle rianimazioni. «In questo settore abbiamo segnalazioni di resistenze alla richiesta di permessi o ferie e questo sarebbe contrario anche a quanto previsto dai Dpcm emanati — ha denunciato Alessandro Gualtieri della Fisascat Cisl Toscana — Invitiamo tutte le aziende alla massima responsabilità e impegno nella tutela dei loro dipendenti». E poi:«Ci sono tanti lavoratori dei servizi rimasti finora invisibili, come gli addetti alle pulizie che, pur non avendo una preparazione psicologica, come medici e infermieri, sono diventati per decreto lavoratori essenziali».
❞ La paura Potrei infettarmi anche io, penso al mio nipotino che non vedo da 2 settimane Ho pensato di mollare ma non posso permettermelo, ho l’affitto da pagare