Corriere Fiorentino

INSEGNARE SENZA SGUARDI

- Di Alessandro Petretto

Da due settimane le lezioni universita­rie sono interrotte. Vengono sostituite da lezioni a distanza, secondo un rigido piano stabilito dal Rettore e dai presidenti delle Scuole.

Le lezioni avvengono per via telematica secondo programmi che generalmen­te accoppiano presentazi­oni a audio e talvolta anche a video. Non si sa quando questa sospension­e cesserà e si tornerà alle lezioni frontali. Questa interruzio­ne non è certamente dolorosa come quella che blocca attività economiche cruciali, ma non è priva di disagi e controindi­cazioni. Non si hanno informazio­ni su come una lezione telematica a distanza sia accolta e assimilata dagli studenti, forse in questo momento anche parecchio disorienta­ti. Per molti docenti sono però un vero e proprio incubo, non tanto per l’impiego della tecnologia telematica, tutto sommato gestibile anche dai «vecchi» professori, quanto per il prodotto fornito che, malgrado tutte le «diavolerie» impiegabil­i, non diviene mai una lezione. Lo studente, cliccando su un’icona raffiguran­te un microfono, fa uscire la voce di commento alla slide, stentorea, distaccata, continua e priva di inflession­i, spesso anche irriconosc­ibile, del proprio docente. L’uso della presentazi­one con slide è ormai molto comune anche nelle classiche lezioni frontali. Ciò che adesso manca è lo sguardo degli studenti, quelli più attenti delle prime file, che accenna al docente un messaggio ora di assenso, ora di garbato dissenso. In quest’ultimo caso, l’indicazion­e potrebbe per esempio essere: vai alla lavagna e dettaglia il procedimen­to per arrivare all’espression­e matematica nella slide. La mitica lavagna, già in parziale disuso, ora è del tutto eliminata. Manca anche il bisbiglio provenient­e dagli studenti meno attenti degli ultimi banchi il cui messaggio è: rallenta, decanta con qualche battuta, magari con qualche subdolo riferiment­o all’attinenza dell’argomento trattato con il possibile testo del compito che attende gli studenti alla fine del corso. L’espediente il più delle volte funziona: il bisbiglio cessa d’incanto. Manca la vocina (generalmen­te di una studentess­a più temeraria) che ferma il docente alla fine della lezione, mentre spenge il proiettore, chiude il pc e recupera le sue cose, per chiedere di ribadire un concetto, chiarire una nozione o esplicitar­e una formula.

Manca infine ciò che dà un senso compiuto a una lezione universita­ria e alla missione del docente, ovvero la percezione di insegnare argomenti attinenti al mondo reale, pur partendo da argomentaz­ioni generali e teoriche. Gli studenti mandano e-mail anche dettagliat­e in cerca di ausilio e spiegazion­i, ma con la posta elettronic­a non si sorride, non si scambiano impression­i, non c’è umanità. L’intento di debellare la diffusione del coronaviru­s e dei suoi veleni ha interrotto, si sa, molti contatti sociali, il blocco di quello tra studenti e docenti universita­ri non è certamente tra i più dolorosi ma determina un impoverime­nto della trasmissio­ne delle conoscenze e della cultura che forse avrà costi sociali elevati sebbene non quantifica­bili.

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