Una notte lunghissima (e via allo scaricabarile)
Ogni giorno facciamo un passettino in avanti verso la limitazione delle libertà personali, spesso a colpi di atti normativi a carattere regolamentare eccezionale. Decreti su decreti.
Seguiti da «precisazioni» di Palazzo Chigi e interpretazioni varie su cosa si può fare e che cosa non si può fare. Passeggiate, corsette, orari di apertura dei supermercati, giri dell’isolato. Il bollettino con il numero dei morti e dei contagiati, ormai inutile se rimane allo stato grezzo e non scorporato, è accompagnato da qualche giorno da quello dei denunciati. L’ipertrofia normativa unita all’infodemia — bombardati da informazioni sul coronavirus h24 — produce quello che stiamo vedendo: paura e caos. Il risultato è che ognuno interpreta i decreti a modo suo e ogni Regione stabilisce criteri restrittivi a proprio piacimento. Eppure in questo enorme casino in cui siamo sprofondati da settimane — e che legittimamente fa disperare; perdonerete la sfiducia verso i cori dal balcone, con eccezione del Canto della Verbena a Siena i primi giorni, e gli slogan «andrà tutto bene», che vorremmo serenamente riporre nel cestino dell’umido — alcune cose dovrebbero restare al loro posto. L’idea di ridurre l’orario dei supermercati, balenata il venerdì come ipotesi del governo, è già stata risolta, non positivamente, dai singoli. La Regione Lazio già da martedì 17 marzo ha disposto la chiusura obbligatoria di tutti gli esercizi commerciali, supermercati compresi, entro le ore 19, dal lunedì al sabato. La Regione Toscana non ha dato disposizioni, ma alcune catene si sono mosse per conto proprio, riducendo gli orari. Eppure, come ha scritto il professor Fabio Sabatini sul Foglio, «il risultato sembra scontato: più gente al supermercato, file più lunghe, maggior tempo in strada, potenziale moltiplicazione delle interazioni sociali, stress alle stelle, negozi online sempre più congestionati e accessibili solo in ore improbabili e a chi naviga con fibra, con ulteriore inasprimento dei disagi delle fasce più deboli della popolazione». Sarebbe un errore grossolano, «che aumenterebbe i rischi per le categorie più vulnerabili e creerebbe difficoltà insormontabili alle categorie produttive. Anziani, pazienti cronici e immunodepressi avrebbero maggiore probabilità di trovarsi in coda con i più giovani, che con le eventuali nuove restrizioni perderebbero la possibilità di fare la spesa nelle ore meno frequentate. Si moltiplicherebbero le occasioni di contagio, nonché l’ansia e la preoccupazione dei consumatori di ogni età». La domanda da farsi è come possiamo tenere insieme i bisogni di una società democratica con l’esigenza di fronteggiare una pandemia. È evidente che un lockdown non può durare in eterno. Ed è evidente che se si passa alla fase successiva, e ogni giorno sembra esserci una fase successiva, reclamando l’esercito per strada (in Campania e in Sicilia succede già, così come in Lombardia: il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza in Lombardia ha appena autorizzato l’impiego di 114 unità di militari «direttamente nel controllo delle misure di contenimento della diffusione del virus COVID-19»), allora forse qualche domanda sulla gestione dell’emergenza è giusto farsela. Finora, in questa continua corsa alle restrizioni, si è individuato il bersaglio di turno: l’anziano, il runner, quello che va a lavorare perché non ha accesso al telelavoro. Niente e poco si dice su quei datori di lavoro che non favoriscono lo «smart working» o sulle fabbriche rimaste aperte. Ecco, in questa corsa alle restrizioni, dobbiamo chiederci se NON distinguere fra chi è costretto a uscire, ed è responsabile nel farlo, e i deficienti che creano assembramenti incuranti delle regole stabilite da infettivologi ed epidemiologi, non serva solo a evitare di affrontare le responsabilità della classe dirigente (che non è solo quella politica, beninteso). Scaricare le colpe sui singoli è diventato un mestiere diffuso. La quantità di gente che considera non essenziale solo ciò che solitamente non la riguarda è impressionante ma, viste le percentuali di voto ai partiti in Italia, tutto sommato prevedibile. Sarà insomma una lunghissima notte, e non solo per il contagio del virus.
Cronaca, cronaca politica. Dai palazzi romani, ma anche dalle piazze (e da qualche retrobottega ) di tutta Italia. Per capire che cosa ci è successo nell’ultima settimana. E cosa c’è da aspettarsi da quella successiva