Il medico costretto a casa dal virus «La cosa peggiore è essere inutile»
Contagiato forse in ospedale: avevo solo mascherine chirurgiche
❞ La nostra categoria doveva essere protetta molto prima, ora si devono fare più tamponi possibili
«Se va avanti così, mi è andata bene. Per me è stata come una lieve influenza. Ho avuto febbre, tosse, dolori muscolari, mal di testa, stanchezza, spaesamento. Ma tutto sommato nulla di grave. Il problema è che questo contagio non si ferma. E non a tutti va bene come a me». A parlare è un medico specialista di un ospedale fiorentino, da giorni chiuso in casa, da solo, con la conferma del tampone della sua positività al Covid.
Dottore, come sta vivendo la malattia?
«Poteva andare peggio. Sono a casa, da solo, ma sono autosufficiente, riesco ad accudire il gatto, soffro un po’ di solitudine. La mia fortuna è che prima di ammalarmi ero stato al supermercato, sia chiaro, con la mascherina, e avevo fatto una grossa spesa. Poi ho una vicina di casa che mi lascia quel che mi serve fuori dalla porta».
E l’isolamento?
«Male. La cosa peggiore è rendersi conto che stare a casa significa non poter aiutare i pazienti in ospedale, né dare una mano ai colleghi che sono sempre più soli. Per un medico è la cosa più frustrante».
Lei pensa di essere stato contagiato in ospedale o altrove?
«Non lo so, è probabile che sia successo in ospedale. Per chi come me lavora in un reparto Non Covid, i rischi in teoria sarebbero di meno, ma almeno fino a quando ero in corsia, prima di ritrovarmi in quarantena a casa, noi non avevamo che mascherine chirurgiche, che non servono a non essere contagiati. Non so se ora i miei colleghi siano stati attrezzati, ma certi provvedimenti avrebbero dovuto essere presi da molto tempo».
Lei ha avuto difficoltà a farsi fare il tampone?
«Sono stato qualche giorno a casa, febbricitante, prima di poterlo fare. So che in ospedale si sono mossi per me, altrimenti non l’avrei ottenuto».
Giusta quindi la strategia dei tamponi a tutti i sanitari?
«Credo poco nelle mezze misure. Farlo a noi sanitari sarebbe giusto, in teoria. Ma se lo fanno solo a noi e non si interrompe il contagio, il risultato è che noi ci infettiamo tutti, ci mandano a casa e in ospedale non resta più nessuno. Bisogna cambiare prospettiva su questo punto».
Ovvero?
«Fare i tamponi ai giovani, che sono il veicolo asintomatico del contagio, per interromperlo. Come hanno fatto in Corea del Sud».
Da medico, cosa si sente di dire ai cittadini?
«Le persone devono stare a casa. Uscire solo per necessità, farlo con le mascherine. E, magari andare pure a prendere un po’ d’aria, ma solo se non c’è nessuno intorno. Se le misure di contenimento non vengono rispettate, il virus continua a circolare. E noi medici ci ritroviamo infettati a nostra volta, e non possiamo più curare i pazienti. Se poi ci aggiungiamo che non ci vengono dati gli strumenti per proteggerci, la cosa finisce male. È un circolo vizioso che dobbiamo interrompere».