A casa 390 mila lavoratori Il nodo deroghe
La Regione: i soldi per la «cassa» non bastano. Bassilichi: online l’elenco di chi può produrre
Scatta oggi la chiusura delle attività non essenziali decisa dal Governo e l’impatto sulla ricchezza prodotta dalla Toscana sarà rilevante: le imprese che dovranno chiudere, salvo deroghe, sono ben 593.000, quasi un terzo del totale, e producono un valore aggiunto di oltre 800 milioni la settimana. E dato che la stima è di oltre 390.000 lavoratori dipendenti e 200.000 autonomi bloccati, cioè il 38% del totale degli occupati in Toscana, il rischio è che le risorse previste da Roma per la cassa integrazione Covid diventino rapidamente insufficienti.
L’impatto sarà ancora più importanti per alcuni settori, come il manifatturiero, dove non può aprire il 65% delle aziende, o l’industria estrattiva che sarà completamente bloccata. E in più districarsi tra le regole e la loro applicazione non è semplice. Tanto che la Camera di Commercio di Firenze fa un appello per chiarire che deve presentare l’autocertificazione solo chi non è inserito nei settori essenziali indicati dal decreto di domenica, evitando di intasare la Prefettura (chiamata a vigilare e a far chiudere se necessario ditte che si sono autocertificate ma non ne hanno requisiti) con domande inutili che invece in queste ore stanno arrivando a pioggia.
Intanto è già emergenza per il blocco produttivo, che si aggiunge a quello già in atto nel settore turistico e del commercio non alimentare.
Le imprese in Toscana comprese quelle individuali e le partite Iva, sono 1.571.511, quelle essenziali quasi un milione, e quindi quelle non essenziali sono in totale 593.502. «La media delle aziende non garantite dal decreto è del 37,8% ma la realtà è diversa da settore a settore — spiega Stefano Casini Benvenuti, direttore di Irpet, che ha elaborato i dati in base ai codici Ateco delle imprese indicati dal decreto — I settori più penalizzati sono, oltre a quelli dell’alloggio e ristorazione e degli altri servizi , che comprendono le attività artistiche e di divertimento, le attività sportive, l’estrattivo, il manifatturiero che è coinvolto per oltre la metà di suoi addetti e i settore edile con oltre il 60% di aziende». L’allarme è anche per la cassa integrazione in deroga: «Se questi numeri venissero confermati ed i lavoratori delle imprese costrette alla chiusura fossero tutti messi in Cig, il costo settimanale sarebbe di circa 140 milioni di euro».
«Le misure introdotte dal governo con l’ultimo decreto potrebbero colpire circa un terzo dell’economia toscana — sottolinea il governatore Enrico Rossi — Per affrontare il panico crescente e derivante dalle chiusure delle nostre imprese, con perdite di valore aggiunto di 800 milioni a settimana, servono risorse aggiuntive per garantire la cassa integrazione. E anche dopo la fase più acuta dell’emergenza sanitaria resterà una situazione generale di sofferenza per il nostro sistema economico. Servirà un grande disegno di politica industriale per ricostruire ciò che la globalizzazione ha reso fragile e distante».
E c’è grande timore e confusione tra le aziende per il nuovo decreto del Governo con la classificazione delle imprese e le deroghe per tutelare filiere e manutenzioni. A Firenze, ad esempio, non devono fare domanda ben 41.430 attività che non devono chiudere (su un totale di 119.440), per 172.000 addetti su un totale di 440.000. «Abbiamo pubblicato on line l’elenco delle imprese della provincia di Firenze che rientrano nelle categorie individuate dal decreto del 22 marzo 2020 e che possono rimanere aperte senza la comunicazione al prefetto — spiega Leonardo Bassilichi, presidente della Camera di Commercio di Firenze — Tanti invece per paure di non poter produrre hanno mandato i moduli intasando la Prefettura con domande che non servono». Chi le deve presentare allora? «La Camera di Commercio, in accordo con la Prefettura e la Città Metropolitana, ha pubblicato sul proprio sito e su quello dell’azienda speciale PromoFirenze l’elenco delle imprese che possono continuare a operare: basta andare on line e controllare».
Casini Benvenuti (Irpet) Se i lavoratori delle imprese costrette alla chiusura fossero tutti messi in Cig, il costo settimanale sarebbe di circa 140 milioni di euro