Corriere Fiorentino

Luca, che dipingeva col fuoco

Il maestro della famiglia Della Robbia teneva spesso i piedi immersi nella cenere e una notte la fiamma gli suggerì un modo nuovo di cuocere e invetriare la terra. Sperimentò, e la rese eterna

- Di Enzo Fileno Carabba

Luca posava i piedi nudi sulla cenere tiepida e diventava un altro. Li immergeva lentamente. Il calore gli arrivava allo stomaco, sentiva un rimescolio. Per quanto fuori fosse freddo, avvertiva una protezione interna. Stava bene. Due caratteris­tiche mostrò Luca della Robbia fin dall’infanzia: la chiarezza mentale e l’amore per il fuoco. Le due cose erano legate: se ne stava lì, fissava la fiamma, la fiamma fissava lui. La chiarezza cresceva col fuoco. Il cognome della Robbia derivava dal fatto che la famiglia commerciav­a la robbia, una radice usata come colorante rosso vivo per i tessuti. Luca odiava quel rosso e aveva paura del sangue.

Per questo si tenne sempre lontano da quel colore e inventò, anni dopo, un tipo di pelle smaltata che non era possibile ferire. Ricevette una buona educazione, imparò a leggere, scrivere e far di conto, come usava a Firenze, a differenza delle terre barbariche del resto del mondo. Il padre lo mandò a imparare l’arte dell’orefice da Leonardo di ser Giovanni, che era il migliore. Imparò a disegnare e a lavorare la cera. «Non mi basta!» disse e lavorò il marmo e il bronzo. Non gli bastava neanche quello e si dette alla scultura. Il giorno scalpellav­a e la notte disegnava. Quando non poteva permetters­i il fuoco immergeva i piedi nei trucioli di legno per resistere al freddo. A quindici anni lavorò a Rimini per Sigismondo Pandolfo Malatesta. Tornato a Firenze scolpì cinque formelle per il campanile che sono migliori di quelle di Giotto. Fece una cantoria di marmo per il Duomo di Firenze. Donatello realizzò la cantoria di fronte. Le cantorie sono i terrazzi monumental­i dove stanno i cantori. I ragazzi che cantano scolpiti da Luca sono così vivi. Vasari li loda ma dice che Donatello fece ancora meglio, perché calcolò che l’opera sarebbe stata vista di lontano e non curò tutti i particolar­i. E che a volte è meglio abbozzare un’opera che rifinirla, perché nell’abbozzo c’è un furore che coglie al volo l’essenziale. L’essenziale è volubile e vola via se ti attardi nel rifinire il dettaglio. Però è anche vero che gli angioletti di Donatello, se li guardi da vicino, sembrano bambini pazzi con cui non reggeresti dieci minuti. Mentre i ragazzi di Luca — come battono le mani, come gonfiano le gote, come si appoggiano sulle spalle dei compagni! —sono persone con cui ti piacerebbe cantare.

Dopo un po’ che praticava la scultura ai massimi livelli Luca fece due conti per vedere quanto guadagnava rispetto a quanto lavorava e si disse: «Ma scherziamo davvero?» Rischiava di finire come Donatello. Pensò: è molto più facile plasmare la terra, rispetto a lavorare il marmo e il bronzo. Bisognava solo trovare il modo di conservare a lungo le terrecotte. Allora studiò e sperimentò giorno e notte. Chiese aiuto al fuoco, che era sempre stato suo amico. Una notte che teneva i piedi nudi immersi nella cenere il fuoco gli donò la chiarezza e gli suggerì un modo nuovo di cuocere e invetriare la terra, fino a renderla eterna. Così Luca costruì delle fornaci segrete, una per esempio verso Barga, dove poteva lavorare in santa pace, lontano da occhi indiscreti. Se qualche spia lo raggiunse, non se ne seppe più niente. Queste terrecotte invetriate ebbero un successo notevole in tutta Europa. Il primo che le chiese fu Piero di Cosimo dei Medici, padre di Lorenzo il Magnifico, per il suo studiolo di Palazzo Medici, dove tra l’altro gli fece realizzare il pavimento: un pavimento di Luca della Robbia è utile per l’estate perché tiene fresco.

Da ragazzo Luca aveva lavorato con Ghiberti ma poi era diventato amico di Donatello e Brunellesc­hi. Frequentav­ano Niccolò Niccoli, un umanista che sosteneva che Dante, Petrarca e Boccaccio erano pessimi. Un uomo buono dal carattere di fuoco. Con lui non ti annoiavi mai. Una volta, tornavano da una serata col Niccoli ed erano in vena di confidenza, Brunellesc­hi chiese a Luca: «Senti Luca, ma il tuo segreto è davvero un segreto?». Infatti c’era chi sosteneva che la tecnica misteriosa inventata da Luca esisteva già prima che lui la inventasse e la conoscevan­o in parecchi. «Bè, caro Pippo, quasi. Se voi mi aiutate lo diventerà ancor di più». Così Brunellesc­hi e Donatello cominciaro­no a dire in giro quanto fosse grande il segreto di Luca: una magia alchemica. Tutti si convinsero. A parte i meschini che parlavano di perfeziona­mento di una tecnica già esistente. Resta il fatto che Luca dipingeva col fuoco.

Luca comprò casa insieme a un fratello, ai margini dell’abitato, perché aveva paura degli incendi. Attirò tutta la famiglia nella sua orbita e in breve tempo fratelli, figli e nipoti lavoravano alle cosiddette robbiane. Un’attività famigliare che conobbe un successo mondiale destinato a durare per generazion­i.

Una sera era davanti al camino con Brunellesc­hi e Donatello. Luca dispose la legna in due strati a forma di cupola e ne venne fuori un fuoco tondeggian­te che ispirò Brunellesc­hi per la cupola del duomo: una sfera di fuoco che sbuca ovunque tu vada.

Luca lavorò molto con Pippo (così chiamavano Brunellesc­hi) e si aiutarono a vicenda. Pippo era piccolo e brutto ma grazie al fuoco si accorse di essere bello. Una volta Luca prese un tizzone nero semispento e disse all’amico: «Tu sei questo». Effettivam­ente era bruttino. Ma poi lo buttò tra le fiamme e quello ardeva di una bellezza incandesce­nte. Brunellesc­hi imparò qualcosa: da allora anche nelle avversità, che non furono poche, cercava di farsi ardere dal fuoco giusto. Vasari dice che Luca variò così tanto dal marmo al bronzo alla terra non perché era fantastico, ma perché cercava cose nuove. La parola fantastico in questa accezione mi piace molto. Ancora nelle campagne toscane si dice «quel cane è un po’ fantastico» per dire che è strano. Con le sue terrecotte invetriate Luca contribuì come pochi altri alla diffusione della bellezza. A differenza di molte altre opere, che hanno bisogno di un ambiente protetto (per esempio un museo, che Luca non sapeva neanche cosa fosse) le sue, fatte con la terra e col fuoco, possono andare nel mondo, protette da un calore interno. Come Luca quando metteva i piedi nella cenere tiepida, così le sue terrecotte possono sopportare il gelo, il vento, il male e l’umidità. Dove c’è un’opera che resiste, là c’è Luca della Robbia, o il fuoco che lo ardeva.

44. continua. Le altre puntate: 13-27/11 e 11-31/12 2016; 22/1, 5-26/2; 12-26/3; 30/4, 28/5, 11/6, 9/7, 8/10, 19/11, 1727/12 2017; 10-20/1, 21/2/, 13/3, 26/4; 6/6/, 11-21/7, 5-12/8, 1711/2018, 2/1/31-1, 23/3 2019, 26/4, 7/5, 12/6, 24-7, 27/12 2019, 2-7-18/1/, 9/2, 17/3 2020.

❞ Fece una cantoria di marmo per il Duomo con i ragazzi che sembrano vivi

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Al centro: «La Madonna del roseto» (Bargello), sopra Luca della Robbia e la formella con Platone e Aristotele per il Campanile di Giotto
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 ??  ?? In alto particolar­e della «Visitazion­e» nella chiesa di San Leone a Pistoia, a destra dettaglio della cantoria (Museo Opera del Duomo)
In alto particolar­e della «Visitazion­e» nella chiesa di San Leone a Pistoia, a destra dettaglio della cantoria (Museo Opera del Duomo)
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