L’arte da vicino
Cristina Acidini racconta l’armadio delle meraviglie
La meraviglia negli occhi di chi almeno una volta lo ha visto dal vivo è un dato assodato. Forse per destare ancora una volta questo stupore Cristina Acidini lo ha scelto quando ha deciso di starci accanto nella stesura di una serie di articoli volti a farci riscoprire, per ora da remoto ma pur sempre nel dettaglio, capolavori poco conosciuti dell’immenso patrimonio d’arte toscano.
Lui è lo Scarabattolo di Domenico Remps, custodito al Museo dell’Opificio delle Pietre Dure e oggetto centrale di una mostra che lei e Annamaria Giusti, nel 2009-2010, curarono per Palazzo Strozzi. Quella mostra s’intitolava Inganni ad Arte. Meraviglie del trompe l’oeil dall’antichità al contemporaneo. «E — ci racconta oggi la storica dell’arte già Soprintendente del Polo Museale Fiorentino, ora presidente dell’Accademia delle Arti del Disegno — nacque come una cornice che doveva far da contesto proprio a quest’opera». Ma c’è un’altra ragione per cui ha voluto riportarci a guardare questo straordinario trompe l’oeil. «È così ricco di particolari e minuzie, è così affascinante per la precisione e il dettaglio, da portarmi a credere che il tempo lungo che oggi abbiamo a disposizione, costretti a casa per l’emergenza Covid-19, possa essere un requisito importante per apprezzarlo per come merita». Lo Scarabattolo, fino agli anni ’50 custodito nei depositi degli Uffizi, arrivò nel Museo di via degli Alfani sin dalla sua istituzione. «Quale luogo migliore di questo, vocato fin dalla sua nascita alle meraviglie e alla preziosità della lavorazione delle pietre dure, poteva esserci, per rendere stabilmente visibile al pubblico questo straordinario trompe l’oeil seicentesco?» prosegue Acidini.
L’opera, che ci dà l’impressione di trovarci dinanzi a un armadio a due ante semi aperto e dotato di doppia chiusura (scarabattolo vuol dire proprio armadio che racchiude oggetti preziosi), fu realizzata da Domenico Remps, uno sconosciuto pittore tedesco vissuto tra il 1620 e il 1699, di cui si sa solo che, come altri artisti del suo tempo, si trasferì a Venezia, per studiare i pittori italiani e cercare nuove commissioni. Ma probabilmente non solo a Venezia, come dimostrerebbe il nostro Scarabattolo. «Tre dettagli di quest’opera complessissima — prosegue la storica dell’arte — ci fanno pensare che sia stato anche a Firenze e che qui abbia realizzato l’opera: una lettera, evidente nella parte superiore dell’anta sinistra, una chiave che pende in basso sotto uno dei fiocchi rossi e il cranio sormontato dal corallo custodito nel primo ripiano a destra dell’armadio. La prima è indirizzata al marchese Francesco di Cosimo Riccardi, amico e devoto di Cosimo III de’ Medici, la seconda è il simbolo dello stemma dello stesso marchese e la terza è forse la prova definitiva della permanenza di Remps a Firenze. Quel cranio rappresenta una delle tante mirabilia
collezionate dai Medici, acquistata dal Granduca Ferdinando I e ora custodita alla Certosa di Calci. Il fatto che l’autore dell’opera l’abbia rappresentata fa pensare che avesse avuto modo di vederla».
Le tre occorrenze incrociate confermerebbero che l’opera sarebbe stata commissionata dal marchese Riccardi per farne dono al Granduca. «Committenza a parte, questo — ci dice Acidini — è un esemplare esplicito di quel culto dell’immagine che illude, il trompe l’oeil, appunto, che nel XVII secolo attraversava l’Oltralpe. E celebra la curiosità del collezionista che raccoglie decine di piccole cose per soddisfare la sua fame di conoscenza della natura. Ci sono ragni e conchiglie, coralli e serie d’avorio lavorate alla tedesca e poi quadri, oggetti in vetro, penne e medaglie. Colpiscono — aggiunge la storica dell’arte — la cura nella disposizione degli oggetti accostati in modo che nessuno occulti un altro, il senso di armonia e l’attenzione meticolosa rivolta al dettaglio che appare in ogni particolare, a cominciare dai fiocchi che sono ora rossi ora blu».
La prima volta che una fonte scritta cita il trompe l’oeil
dell’Opificio risale al 1715. Studi successivi hanno ipotizzato che in origine lo Scarabattolo
avesse un suo doppio: ma della seconda versione dell’armadio delle meraviglie, finora nessuno ha mai trovato una traccia. Non resta che venire a Firenze, all’Opificio delle Pietre Dure, per vederlo dal vivo (quando di nuovo sarà possibile visitare un museo). «Quando ero ancora soprintendente dell’Opificio — ricorda Cristina Acidini — una volta venne a bussare alla porta del mio ufficio un turista australiano. Era deluso perché era venuto sino a Firenze per vedere l’opera. Tutte le volte che viaggiava in Europa, mi disse, passava a farle una visita. In quei giorni lo Scarabattolo era a Washington per una mostra. È un oggetto che ci è stato chiesto più volte e che, perché in genere, è stato più apprezzato e conosciuto all’estero che in Italia».
Dopo la quarantena almeno qui a Firenze potremmo cominciare a riscoprirne la stupefacente ricchezza. 3. Continua. La precedenti puntate sono uscite il 19 e il 26 marzo 2020.