«Ancora 4 emergenze per la Toscana Al lavoro solo chi è sicuramente sano»
L’immunologo Sergio Romagnani: «Impossibile ora parlare di svolta Senza strategia rischiamo di innescare una seconda ondata di infezioni»
Raccomanda cautela il noto immunologo fiorentino Sergio Romagnani. il professore, in auto quarantena dal 4 marzo, aveva suggerito il 15 marzo scorso l’estensione dei test su popolazione e personale sanitario. La Toscana lo sta facendo, come sono aumentati i test in gran parte del Paese. I nuovi contagi sono in flessione, ma dice Romagnani, sarebbe un azzardo riaprire ora le aziende: «Il rischio è scatenare nuovi focolai, sarebbe un disastro». Mentre in Toscana restano quattro emergenze a cui far fronte.
Professor Sergio Romagnani, come sta? La sua autoquarantena è cominciata molto prima dei decreti governativi. Come passa le giornate?
«Per ora sto bene, anche se non esco di casa dal 4 marzo. Ma non ho mai attraversato un periodo così ricco di attività nell’ultimo decennio. Infatti la mia lettera al Corriere Fiorentino del 15 marzo ha avuto un enorme ed inatteso impatto a livello mediatico nazionale ed internazionale, è di martedì l’ultima intervista, al New York Times. Inoltre, ho contribuito a scrivere con alcuni collaboratori quattro lavori scientifici sull’argomento, che sono oggetto di valutazione per una pubblicazione su importanti riviste scientifiche del Regno Unito e degli Usa».
La progressione del contagio anche in Toscana rallenta, frenano i ricoveri e le terapie intensive sembrano reggere nonostante non si siano registrati cali significativi di pazienti. Siamo vicini a una svolta?
«È difficile parlare di svolta. Si sta finalmente registrando un “trend” meno negativo, soprattutto perché il grave rischio che temevo e che avevo sottolineato nella mia prima lettera al
Corriere Fiorentino del 25 febbraio, e cioè che senza un numero sufficiente di letti di terapia intensiva si poteva arrivare alla situazione di una drammatica scelta dei parametri sulla base dei quali decidere chi aiutare a sopravvivere e chi dover lasciare morire (eventi che sembra siano accaduti a Bergamo), non si è verificato in Toscana, sia perché il numero dei letti è stato aumentato, sia perché abbiamo avuto una diluizione nel tempo dei malati gravi».
Gli asintomatici continuano a sfuggire però. Quanto sono allora attendibili statistiche e previsioni?
«Le statistiche e le previsioni sul numero dei soggetti infettati, ma asintomatici, sono aleatorie. Secondo il professor Andrea Crisanti i soggetti infettati in Italia, basando la stima sui dati del suo studio di fine febbraio a Vò Euganeo, sarebbero all’incirca 400.000, cioè circa quattro volte il numero fornito dalla Protezione Civile. Ma una stima esatta è impossibile: molti non vengono censiti perché privi di sintomi, oppure affetti da sintomi trascurabili».
C’è chi, tra cui l’ex premier Matteo Renzi, spinge per una graduale riapertura (intorno alla metà di aprile) delle aziende e per un allentamento delle misure restrittive. È un azzardo?
«Ritengo che la data del 15 aprile sia prematura e potrebbe provocare una riaccensione dei contagi. Prima è necessario che si arrivi ad una forte riduzione del numero di nuovi contagi giornalieri. Una strategia ottimale potrebbe essere quella di estendere la ricerca degli anticorpi (valutata l’affidabilità di questa indagine) a larghe fasce della popolazione e quindi reimmettere nel ciclo lavorativo i soggetti sani che hanno nel sangue anticorpi della classe IgG (e non più quelli della classe IgM), un segnale importante della loro impossibilità di essere contagiati e soprattutto della possibilità di non rappresentare più una fonte di contagio. Inoltre prima di riaprire a tutti è necessario mettere a punto un meccanismo strategico di tracciabilità delle persone (sfruttando la tecnologia), simile a quello applicato nella Corea del Sud, anche se non sono certo che in Italia questo sia possibile. Riaprire a tutti senza una strategia sarebbe un grave azzardo e potrebbe innescare una seconda grave ondata di infezione, che diventerebbe un evento davvero drammatico per l’Italia, sia sul piano sanitario, sia su quello economico».
L’impegno del governatore Enrico Rossi è fuori discussione. Come sta reagendo il sistema sanitario toscano? Quali le emergenze ancora da affrontare?
«L’impegno del Governatore, dal momento in cui ho potuto giudicarlo direttamente perché ha avuto inizio tra noi un contatto diretto e frequente, mi è parso eccezionale. Ovviamente, i risultati non dipendono solo dal suo lavoro, ma anche dalla qualità dei collaboratori e di coloro che costituiscono l’intero tessuto sanitario. Il sistema sanitario toscano ha finora risposto bene. Mi sembra che adesso le emergenze siano quattro: 1) la situazione delle Rsa per anziani e disabili; 2) l’estensione del numero dei tamponi a tutte le categorie a rischio di espandere il contagio,
inclusi gli asintomatici; 3) quando finirà l’obbligo della quarantena a casa si dovrebbe studiare una strategia per identificare le possibili fonti di contagio e isolare i nuovi focolai che dovessero manifestarsi; 4) la dotazione a tutta la popolazione toscana di un numero sufficiente di mascherine e la indicazione “forte” ad utilizzarle costantemente. Rossi ha ben presenti queste emergenze e so che sta studiando le soluzioni più idonee».
Come per le mascherine però, sono tante le testimonianze sulla difficoltà di reperire soprattutto tamponi, reagenti e laboratori di analisi. Perché?
«Il problema di reperire mascherine deriva da due fattori: 1) ci è stato predicato per alcune settimane, dai cosiddetti esperti che hanno affiancato il responsabile della Protezione Civile nelle sue conferenze stampa quotidiane, che non servivano a nulla. Io però ne avevo acquistate fin dall’inizio di febbraio circa 200 per uso personale e dei miei familiari a prezzi di mercato, perché fin da allora avevo pensato che erano un meccanismo di protezione; 2) non esisteva una produzione nazionale e si è dovuto finora ricorrere ad acquisti all’estero, con tutte le difficoltà legate alla competizione internazionale. Quanto ai reattivi dei tamponi vale la stessa considerazione. Ma, come hanno fatto in Veneto, ci si può organizzare a produrre in casa quelli per il test e si può aumentare il numero dei centri esecutivi reclutando tutto il personale impiegato nella ricerca, che è dotato del “know how” e degli strumenti, come del resto io e altri scienziati abbiamo suggerito in una letteraappello inviata la settimana scorsa al Presidente del Consiglio e a tutti i Governatori».
Può spiegarci in modo semplice la differenza tra tampone e test sierologico?
«Il tampone serve a rilevare la presenza del virus a livello del naso e delle fauci e quindi è molto più diretto anche se più complesso nella esecuzione. Il test sierologico invece rivela la presenza nel sangue di anticorpi prodotti dal sistema immunitario del soggetto infettato nei confronti del virus. È di più semplice esecuzione, ma l’interpretazione del suo risultato è meno diretta e più complessa. Però la dimostrazione di anticorpi della classe IgG (senza più anticorpi della classe IgM) indica in genere che l’individuo ha avuto l’infezione e ne è guarito. Infatti la risposta immune di tipo anticorpale è composta di due fasi: in quella più precoce relativa al primo contatto vengono prodotti anticorpi della classe IgM, che durano per un periodo di tempo relativamente breve e quindi possono anche coesistere con la presenza del virus, mentre successivamente vengono prodotti anticorpi della classe IgG, che viceversa perdurano per un periodo di tempo maggiore e sono i soli ad essere prodotti nuovamente e rapidamente in caso di contatti ulteriori successivi al primo».
Si può dire che i test sierologici siano importanti soprattutto quando l’incendio dell’epidemia si sarà spento?
«Sì, sarà molto importante sapere chi possiede anticorpi IgG anti-Covid-19, perché costoro saranno persone che hanno già avuto l’infezione e non potranno più essere infettati (almeno per diversi mesi o forse anni) e non saranno sorgente di contagio».
In Toscana, in Italia, nel mondo sono in via di sperimentazione farmaci utilizzati per altre patologie (come il Tocilizumab o il Ruxolitinib a Livorno). Ci sono comprovate evidenze scientifiche sui loro effetti?
«Le evidenze più suggestive sono sul Tolicizumab. Ci sono studi promettenti effettuati in Cina e alcuni studi aneddotici anche in Italia, ma non esiste ancora una certezza sulla sua efficacia e il farmaco sarà comunque utile solo per una parte dei pazienti. Quanto al Rutoxoltinib, un farmaco riconosciuto attivo e già usato contro le cellule tumorali, sulla infezione da Covid-19 esistono ad ora scarse informazioni, non ancora attendibili».
Aspettiamo allora il vaccino. Ma per quanto?
«Non è certo che il vaccino sarà risolutivo, perché per alcune infezioni virali è risultato impossibile da allestire oppure inefficace (basti pensare all’Hiv). Tuttavia rappresenta la speranza più grande. In tutto il mondo ci stanno lavorando almeno una ventina di gruppi, ma una preparazione efficace e sicura non sarà disponibile prima del nuovo anno».
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Le priorità Attenzione alle Rsa, estendere i tamponi ai soggetti a rischio inclusi gli asintomatici, mascherine a tutti e una strategia per la fine delle quarantene ❞
Il futuro È necessario estendere la ricerca sugli anticorpi per far tornare al lavoro chi è immune. E servirebbe il controllo dei movimenti delle persone come in Corea