Sulla nave 85 infettati Il nodo delle quarantene
Salgono a 85 i marina della Costa Diadema contagiati dal Coronavirus. Sulla nave da crociera attraccata lunedì a Piombino ora c’è il problema delle quarantene: isolare i membri positivi al test non è semplice.
È uno che al sistema non è mai piaciuto. Ma il senatore e capitano della Capitaneria in aspettativa Gregorio De Falco — prima eletto e poi espulso dal Movimento 5 Stelle — ha sempre parlato chiaro. E lo fa anche adesso che si trova a commentare i fatti che girano attorno alla Costa Diadema, la nave sbarcata a Piombino con 1255 membri dell’equipaggio dopo un’odissea di rifiuti da almeno sei porti. E il suo punto di vista vale doppio perché — all’epoca del naufragio della Concordia — non solo diventò famoso per quel «vada a bordo, cazzo» diretto a Schettino ma anche perché nel processo i suoi accertamenti furono fondamentali per ricostruire le colpe della catena di comando gestita dalla solita compagnia genovese: Costa.
Partiamo dai rifiuti dei porti, senatore De Falco. Normale che i porti abbiano rifiutato l’attracco alla Diadema?
«Non è normale e non è neppure possibile. Il problema è di carattere istituzionale. In questa situazione di emergenza si sovrappongono vari livelli istituzionali. In emergenza non c’è alcun dubbio che le competenze vadano allo Stato nonostante il testo 5 e la precedente regionalizzazione della sanità. Ma le limitazioni delle libertà personale — in emergenza — possono scaturire solo dallo Stato. Nel momento in cui si tutela la vita, lo Stato può decidere limitazioni attraverso decreti legge, ad esempio, che poi devono essere trasformati eventualmente in legge».
E quindi che è successo? «Ciò che non doveva succedere. Non può una Regione o un ente locale sostituirsi allo Stato. La chiusura dei porti determinata da un sindaco è una corbelleria, si sostituisce allo Stato. E non va bene».
Costa come ha operato?
«Una grossa società come Costa sa che in certi porti ha il maggior numero di crociere. E ha tentato di risolvere le cose con modalità più morbide, facendo trovare sulla banchina kit per gli esami».
Ma sono arrivati al porto di Piombino perché tutti gli altri si sono rifiutati.
«Hanno fatto una cosa impossibile. Hanno fatto venire meno l’assistenza. Perché quando una nave dichiara un’emergenza sanitaria a quel punto è come una persona che ti sta chiedendo aiuto e tu decidi di non curarla. Ma come si fa? Non si può negare le cure a nessuno. Magari si predispone l’assistenza a bordo. Invece ci sono certi sindaci che si fanno forti di difendere una loro comunità. Bene ha fatto il sindaco di Piombino ad aprire il porto. Quando una nave dichiara emergenza sanitaria si aiuta. È un dovere».
E che è successo allora?
«Isteria e dunque catene di comando bloccate, come era già successo con l’ex ministro Salvini che aveva chiuso i porti. Le navi non sono entrate in porto per inettitudine di certi prefetti e di certi comandanti di porto. Basta leggersi gli atti di indagine relativi alla Diciotti e alla Sea Watch per capire la catena di comando e per vedere che cosa era successo: tutta la catena prefettizia è stata come bloccata dall’ex ministro dell’Interno. All’epoca c’era Salvini, adesso c’è il virus ma l’isteria è stata la stessa».
Dice comandanti di porto ma significa ufficiali di Capitaneria.
«Tra le cose peggiori che possono accadere c’è quella di abdicare alla propria responsabilità. L’ingresso di una nave in porto è prerogativa del comandante della Capitaneria di quel porto. Io mi rendo conto che la Capitaneria è stretta tra Ministero e altre incombenze ma non dovevano esserci tutti quei rifiuti. Anzi: neppure uno. Perché sostanzialmente si deve poter autorizzare l’ingresso quando una nave non ha propositi offensivi verso lo Stato e verso altri Stati. E qua stavamo parlando di una nave che stava trasportando 1255 marinai che avevano registrato — a bordo — cinque casi di coronavirus».
❞ La regola non scritta Se una nave non ha propositi offensivi verso il proprio o altri Stati deve poter attraccare