Corriere Fiorentino

«Ripresa piena? Forse servono 2 anni»

Tommaso Nannicini: non parliamo di quando riapriremo le fabbriche, ma di come

- Di Marzio Fatucchi

«Non ci sarà un giorno in cui accendiamo la luce e riparte l’economia: non dobbiamo discutere di quando, ma di come riapriremo». Tommaso Nannicini, economista e senatore Pd, mette in guardia dalle semplifica­zioni: «Ci sono 5 decisioni strategich­e da prendere prima di poter ripartire. E bisogna essere chiari: la transizion­e può durare anche due anni».

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«Non ci sarà un giorno in cui accendiamo la luce e tutto sarà come prima. Anche perché nulla sarà come prima». A Tommaso Nannicini, economista prestato alla politica, ex consiglier­e di Matteo Renzi e ora senatore del Pd, non chiedete quando fabbriche e attività potranno riaprire. «Non si decidono le date senza dati, permettete­mi il gioco di parole. E visto che molti di questi dati fondamenta­li sono sanitari, è bene partire da quelli».

Senatore, l’associazio­ne delle piccole imprese Confapi ha fatto una proposta: per far ripartire le fabbriche in sicurezza paghiamo noi i test ai lavoratori. Rientra solo chi è guarito o non è stato contagiato.

«Io lo avevo proposto per il protocollo con le parti sociali: facciamo i test a tutti i lavoratori, anche per loro tranquilli­tà. È l’unico modo per mappare il contagio seriamente».

Ancora non è stato fatto, ma il numero di tamponi e test sierologic­i sta aumentando. Ma in tanti chiedono di far ripartire fabbriche, locali, attività prima possibile. Quando potrà avvenire secondo lei?

«Non ci sarà un giorno in cui accendiamo la luce e l’economia riparte. Non dobbiamo discutere di quando riapriremo, ma di come riapriremo. La transizion­e potrebbe durare anche per i prossimi due anni, e per gestirla dobbiamo raccoglier­e e analizzare dati intelligen­ti sui possibili rischi di nuovi contagi».

Quindi prima secondo lei bisogna capire davvero l’entità dell’epidemia.

«Sì. Ma sia chiara una cosa: dobbiamo spiegare alle imprese, ai lavoratori e ai cittadini che la transizion­e sarà lunga. Dovremo convivere a lungo col Coronaviru­s».

Anche quando ci sarà il vaccino?

«Dovremo farlo a 60 milioni di persone. Anche se fosse realizzato velocement­e si parla comunque di un anno, una lunga fase di transizion­e che dobbiamo gestire. Vede, è giustifica­bile che la politica, tutta, si sia fatta trovare impreparat­a al Coronaviru­s. È successo praticamen­te ovunque. Quello che non è accettabil­e è farsi trovare impreparat­i dalla transizion­e. Ora lo sappiamo: dobbiamo programmar­e».

Cosa ne pensa delle date indicate dal suo amico ed ex compagno di partito Matteo Renzi?

«Le ripeto, il tema non è quando, ma come. E lo stesso Renzi è stato il primo a porre il tema del come in aula al Senato. Cioè di come, piano piano, si accompagna l’economia e la società alla ripartenza».

E, quindi, come si fa?

«Ci sono cinque decisioni da prendere. Dobbiamo decidere chi lavora: per esempio se far tornare a lavoro i giovani, e in quali filiere. Come si lavora in modo nuovo nelle fabbriche. Dove si può o si deve vivere. Come ci si muove. E come tutti anche quelli che non lavorano arrivano a fine mese. Queste cinque cose, ci piaccia o no, che si sia liberisti o meno, dovrà deciderle in

❞ La politica deve spiegare alle imprese e ai cittadini che ci sarà una lunga transizion­e Lo Stato sia chiaro perché sarà per forza molto invasivo ❞ Lo Stato dovrà scegliere chi lavora e come, dove si può o si deve vivere, come ci si deve muovere e come arriva a fine mese chi non ha un lavoro

gran parte lo Stato: monitorand­o i dati in modo intelligen­te. Da qui l’importanza di fare i tamponi a tutti, per valutarne andamento e evoluzione. I dati devono essere raccolti per programmar­e, dando certezze sulle scelte, non con un decreto a settimana o una conferenza stampa in tarda serata con l’ansia. Inoltre, lo Stato deve essere trasparent­e e semplice, perché sarà invasivo. Non può mandarti a chiedere in banca l’anticipo della cassa integrazio­ne con un modulo prestampat­o o chiederti di accedere a bonus con “click impossibil­i” sul sito dell’Inps. Dobbiamo essere semplici, altrimenti la transizion­e andrà in tilt».

Ammettiamo che ci siano dati rassicuran­ti per un gruppo di lavoratori: quali fabbriche riaprono?

«Ovviamente si parte da quelle essenziali. Non per settori, ma per filiere che permettano di far lavorare i settori essenziali: alimentare, sanitaria, logistica, energia e tutto quello che permette a queste di lavorare in sicurezza. Ci sarà da ripensare gli spazi pubblici: avremo bisogno di architetti, designer e manager. Le imprese dovranno cambiare l’organizzaz­ione del lavoro e degli spazi. Dovremo introdurre molta capacità di smart working, che non è solo telelavoro e strumenti digitali, ma per molte attività sarà necessario ripensare la disposizio­ne degli spazi fisici di produzione, distribuzi­one, vendita».

Chi ripartirà più tardi?

«Turismo e spettacoli per fare due esempi. Occorre quindi iniettare liquidità per farli sopravvive­re e permetterg­li di produrre con servizi digitali dove possibile. Forme nuove per dare risposte alla domanda di bello e socialità.»

Innovare, cambiare, adattarsi: insomma essere resilienti. Ci sono indici precisi calcolati usando indicatori sul mercato del lavoro, capacità di manovra fiscale, investimen­ti, sanità. L’Italia è resiliente?

«No: siamo fragili e siamo arrivati a questo choc fragili. Se usi le tue risorse per prepension­amenti a 62 anni e non per la sanità, in bonus a pioggia e non per investimen­ti produttivi, arrivi fragile a prove del genere. Ma i nostri limiti di fronte all’enormità di questo choc non possono essere la scusa per piangersi addosso. Dobbiamo invece rimboccarc­i le maniche. I Paesi che usciranno meglio da questa crisi sono quelli che hanno macchine pubbliche che orientano le risorse dove c’è bisogno reale: le filiere più deboli, i lavoratori più precari. Dobbiamo svegliarci. E purtroppo, o l’Europa si dà una mossa, o con il debito che abbiamo non avremo lo spazio fiscale della Germania per trovare le risorse necessarie. O ci saranno i “Coronabond”, che non servono solo all’Italia ma a tutta l’Europa per dare risposte forti a questa crisi, o avremo pochi spazi».

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Tommaso Nannicini con Matteo Renzi, all’epoca presidente del Consiglio

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