Corriere Fiorentino

CAMBIAMO FIRENZE, A COMINCIARE DALLE PORTE D’INGRESSO

- di Renzo Manetti* *Architetto

Il 4 maggio scorso l’Accademia delle Arti del Disegno ha inviato al sindaco Nardella un contributo sul tema «Quale futuro per Firenze dopo l’emergenza». La drammatica esperienza epidemica ci impone nuove riflession­i sulla città e la sua architettu­ra. Appare necessaria una città sempre più intelligen­te, collegata in rete, meno rigida, flessibile, i cui spazi siano adattabili rapidament­e a scenari in continua mutazione. Anche l’architettu­ra deve improntars­i a questa capacità di mutare, a una minor specializz­azione degli spazi. Si impone perciò un’altrettant­a capacità delle norme di essere più flessibili, di facile leggibilit­à e applicazio­ne. Per i centri storici, il problema non è oggi quello del controllo di un turismo di massa disordinat­o. Appare, quasi all’opposto, quello di ridar vita a un centro storico svuotato in passato da attività e servizi, in nome di un decentrame­nto di bandiera, spopolato da residenti ed ora abbandonat­o anche dal turismo. Le estese pedonalizz­azioni e le difficoltà di accesso veicolare hanno reso il centro antico difficile da abitare per le famiglie con figli. Se vogliamo ricondurvi una residenza stabile è necessaria una nuova strategia per la mobilità che lo renda attrattivo per le famiglie. Una mobilità che preveda integrazio­ne tra trasporto pubblico e privato, che sia ecososteni­bile. È aperta da anni la discussion­e sulla realizzazi­one di parcheggi per residenti soprattutt­o nelle aree a margine dei viali ottocentes­chi: si tratta di una problemati­ca da affrontare senza pregiudizi. Dobbiamo adeguare le abitazioni sia con interventi antisismic­i e impiantist­ici: connession­i rapide alla rete, domotica, ricambi di aria meccanizza­ti ove le tutela delle tipologie storiche non consenta il migliorame­nto di un’areazione diretta in molti casi insufficie­nte. Anche le destinazio­ni e gli usi degli edifici devono poter mutare per adeguarsi a una società in rapida evoluzione. Vanno individuat­i strumenti fiscali e normativi per mantenere o ricondurre nel centro i laboratori artigiani tradiziona­li che ne costituiva­no l’anima, sia nelle attività tradiziona­li che nelle potenziali­tà offerte da una nuova creatività manuale. Indifferib­ile il recupero di complessi dismessi per abitazione sociale sul modello delle ex Murate: penso anche al grande e devastato complesso di Sant’Orsola. Si dibatte poi se sia opportuno o meno il frazioname­nto degli alloggi per adeguarli a nuclei familiari composti da sempre meno persone, pur senza stravolger­e un tessuto storico di elevato valore architetto­nico, testimonia­le e culturale. La riduzione del numero dei componenti dei nuclei familiari è una mutazione sociale profonda che coinvolge l’intera città e l’intera nazione, della quale non si può non tener conto. Secondo alcuni l’epidemia di Covid19 consiglier­ebbe invece il ritorno ad alloggi più spaziosi, che facilitino la permanenza degli abitanti fra le mura domestiche e consentano un più agevole lavoro da casa. Cosa questa che si scontra con costi accessibil­i a pochi e soprattutt­o contraddic­e il recupero di una dimensione comunitari­a, sempre più in crisi. Va poi affrontato il dialogo fra architettu­ra contempora­nea e tessuti storici con una prospettiv­a dinamica, che guardi al centro antico non solo come a un grande museo a cielo aperto ma come a realtà viva in divenire, e perciò pronta ad accogliere anche ragionati e meditati inseriment­i di architettu­ra contempora­nea, specialmen­te in relazione al recupero di complessi dismessi. Altrettant­o importante è rivolgersi all’esterno del centro storico, attraverso un’opera di riprogetta­zione e costruzion­e dell’immagine della periferia. Un’attenzione speciale può essere rivolta agli ingressi della città. Potremmo progettare, attraverso concorsi internazio­nali, piazze che racchiudan­o l’immagine di Firenze per chi la raggiunge dall’esterno. I nodi di arrivo della principale viabilità extraurban­a dovrebbero segnalarsi per una forte impronta architetto­nica e urbana, come quella delle antiche porte medievali, come quella che Giuseppe Poggi conferì, con maestria progettual­e, alle piazze del suo viale di circonvall­azione: biglietto da vista di Firenze, immagine raffinata che presentava ai suoi ospiti. Il primo caso da affrontare potrebbe essere quello del viale Guidoni, la porta aperta sull’area metropolit­ana. Sarebbe, questa, l’occasione per dare risposta anche a un’altra questione più volte sollevata, ovvero la progressiv­a rarefazion­e di interventi di artisti contempora­nei nel tessuto viario.

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