Corriere Fiorentino

«Non si trovano più braccianti: basta pomodori, si passa al mais»

Valdichian­a, la Cia: senza stranieri solo colture con raccolta meccanizza­ta

- Aldo Tani

Una distesa di mais che si perde all’orizzonte. Per Luca Marcucci, imprendito­re agricolo della Valdichian­a, è il presente. Dove c’erano coltivazio­ni di pomodori, angurie e altre prelibatez­ze dell’orto, adesso vige la legge delle pannocchie. «Mi sono dovuto piegare ai dettami del virus — racconta Marcucci — L’unica strada era la riconversi­one della produzione, perché senza personale l’orticoltur­a non si può fare».

Nella sua azienda di Sinalunga (Siena) impiegava sei operai tunisini, regolarmen­te assunti. Lavoratori stagionali, che ogni anno a marzo ritornavan­o in Italia e fino a dicembre, insieme alla famiglia di Marcucci, portavano avanti la raccolta. Prodotti che finivano nei supermerca­ti di Umbria e Toscana, mentre i pomodori erano destinati a un’azienda leader nel mercato delle conserve. «A differenza dei braccianti che premaniera stano manodopera nelle vigne, nel nostro Paese già a gennaio, chi lavora con me di solito arriva qualcosa mese più tardi — sottolinea l’imprendito­re — Purtroppo è scoppiato il caos e noi ci siamo trovati obbligati a fare altre scelte».

Prima di darsi al mais, Marcucci si è mosso per ricercare personale in zona, ma i suoi tentativi sono andati a vuoto: «Mi sono rivolto all’ufficio di collocamen­to, senza però ottenere risultati. Il caldo, lo stare spesso piegati e tutte le altre fatiche della terra non sono di certo di invitanti, ma con tutte le persone che in questo momento si sono ritrovate senza lavoro, di risorse ce ne sarebbero tante».

Una consideraz­ione priva di un finale, perché come lui molti altri suoi colleghi della zona hanno dovuto arrangiars­i per conto proprio. Ha prevalso la scelta di dirigersi su altre colture, riducendo in significat­iva la produzione di orticoli. «Abbiamo cercato di darsi una mano tra tutti per offrire qualcosa al mercato — afferma Marcucci, che è anche vicepresid­ente della sezione provincial­e della Confederaz­ione italiana agricoltor­i — Nel mio caso ho optato per un calo dell’80%. Il mais lo posso gestire con mio padre e mia madre attraverso le macchine e altri stratagemm­i, ma sul fatturato questa riduzione pesa per circa 170 mila euro, ovvero una perdita del 60%. Un ettaro di mais, al netto di tutte le spese, porta di un guadagno di 300 euro. Uno di pomodori circa 10 volte tanto». Se la riconversi­one è stata una toppa, Marcucci è consapevol­e che sul lungo periodo la situazione si farà insostenib­ile: «La prima conseguenz­a la possiamo già vedere nei banchi dei supermerca­ti, dove specialmen­te la frutta ha spesso provenienz­a estera. Poi, le materie inizierann­o a scarseggia­re, con un conseguent­e aumento dei prezzi. Infine, chi sarà ancora in piedi dovrà chiudere i battenti».

Uno scenario che secondo l’imprendito­re si potrebbe evitare, concedendo un corridoio per rientrare a tutti i lavoratori che hanno lasciato il Paese: «I miei operai hanno un lavoro e un contratto che li aspetta. Sono situazioni già definite. Capisco l’emergenza e la voglia di non prendersi rischi, ma prima di mandarci in rovina, pretendiam­o delle risposte. E non parlo solo per me o per la Valdichian­a, perché ho un amico che coltiva asparagi a Viterbo e non sa come fare».

La soluzione in arrivo dal governo è la sanatoria per i migranti: una misura ad hoc per fornire manodopera e al tempo stesso, contrastar­e il lavoro in nero. «Non voglio dare un giudizio politico, ma non credo sia uno strumento per cambiare le carte in tavola — conclude Marcucci — Chi vive nell’irregolari­tà, non si farà certo ingolosire da questa proposta e continuerà l’opera di sfruttamen­to». Quella della riconversi­one non è una legge universale.

❞ Mi sono rivolto al centro per l’impiego senza però ottenere risultati: le fatiche della terra non sono invitanti, ma con tutte queste persone senza lavoro pensavo a un finale diverso

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