Corriere Fiorentino

Chinatown: senza mascherine stavano cucendo mascherine

Prato: riaperte anche le fabbriche degli orientali. Fuori regola 15 operai, e 8 sono clandestin­i

- Giorgio Bernardini Simone Innocenti

Dopo un lockdown lunghissim­o, cominciato per tutelarsi prima di quello italiano, gli imprendito­ri cinesi del settore dell’abbigliame­nto hanno deciso di riaprire i cancelli delle loro fabbriche. E nel primo giorno di riapertura i finanzieri del Gruppo di Prato hanno denunciato un’imprenditr­ice tessile cinese che impiegava otto connaziona­li risultati clandestin­i: stavano cucendo mascherine non a norma senza però indossarne una. A parte questo primo caso emerso dagli accertamen­ti dei finanzieri, i lavoratori della Chinatown industrial­e di Prato — quella nel cosiddetto Macrolotto Uno, a sud della città – ieri hanno cominciato a far capolino nei negozi di confezione di abiti. «Molti di loro — conferma Marco Wong, consiglier­e comunale pratese di origine cinese che fa da collante fra comunità orientale e istituzion­i locali — hanno riaperto i battenti per la loro parte commercial­e. La parte produttiva invece è ancora in bilico ed è rimasta per lo più chiusa».

Ma è l’intero settore della moda a subire un’incertezza che permette di riaprire i locali senza aver la sicurezza che la ripartenza sia effettivam­ente all’orizzonte. Mancano gli ordini. Il problema rimane in questi giorni quello di mancanza della domanda nel mercato. «Sia cinesi che italiani — approfondi­sce Wong — si

L’attesa Capannoni riaperti in via Pistoiese, ma mancano ancora le commesse

La fuga «Diverse persone raccontano di aver venduto tutto e di essere tornati in Cina»

stanno interrogan­do su un futuro offuscato da nuvole cupe. Nelle varie chat europee in cui sono coinvolto diverse persone cinesi spiegano di aver mollato l’impresa ed essere tornati in Cina».

Ma questo non è accaduto a Prato, dove il settore dell’abbigliame­nto guidato dagli orientali l’anno scorso ha superato ufficialme­nte quello storico pratese — il tessile — per numero di addetti: oltre 20 mila. Il mutuo soccorso fra imprendito­ri della stessa nazionalit­à, lo stesso che in passato ha prodotto a Prato un’espansione esponenzia­le dell’imprendito­ria orientale in città, sembra non essere più la carta da poter giocare. «Le generazion­i passate sentivano di più questo legame», spiega Wong. Ed effettivam­ente l’acquisto progressiv­o di capannoni e macchinari ha permesso alle famiglie cinesi provenient­i dalla municipali­tà Whenzou di effettuare un vero e proprio trust a partire dagli anni Novanta. L’ostacolo principale per poter mettere in atto questa forma di solidariet­à economica, al momento, è rappresent­ato dalla mancanza unanime di richiesta della produzione: i confezioni­sti sono paralizzat­i dalla mancanza di ordini per via dei negozi rimasti chiusi in tutto il mondo e mancano fisicament­e i compratori esteri, che solitament­e si recano a Prato da ogni parte d’Europa per comprare. Fino a quando i lockdown non si esaurirann­o nel resto del continente — e certamente fino a quando non saranno aperte le frontiere italiane per le persone — sarà dunque difficile che la Chinatown industrial­e abbia un reale impulso alla produzione.

Intanto però i finanzieri hanno sequestrat­o 10 mila mascherine non a norma all’interno di un capannone dove — in barba a qualsiasi norma di sicurezza — lavoravano 15 operai cinesi, otto dei quali risultati irregolari. La Finanza, oltre a denunciare l’imprenditr­ice cinese, ha anche sequestrat­o ventinove macchinari. Ora sarà la Regione comminare eventualme­nte i giorni di chiusura alla fabbrica, che rischia lo stop per un mese.

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I finanzieri all’interno della fabbrica cinese dove lavoravano 8 clandestin­i

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