«La battaglia non è affatto finita Mantenere distanze e protezioni»
L’appello dei medici: si arrotolano gli striscioni, ma il virus è ancora tra noi
«Il coronavirus continua a fare contagi. E a provocare nuovi ammalati. Ma, mentre si parla di riaperture, mentre gli striscioni di solidarietà per medici e infermieri scompaiono dalle finestre delle case, il virus è ancora tra noi», dice un medico di Careggi. In Toscana le notifiche dei casi positivi sono calate, e di molto. Ma non si fermano. E se ora solo 1 positivo su 14 è ricoverato in ospedale, nelle corsie medici e infermieri ancora combattono per salvare i malati, mettendo a rischio la propria salute. Anche sul territorio i medici di famiglia spiegano che «la battaglia è tutt’altro che finita».
Lo dice la dottoressa Barbara Baldini, medico di famiglia di Firenze, che confessa di essere preoccupata «perché il rischio è che si abbassi la guardia, che si pensi che sia tutto finito. La realtà è che il contagio, se non stiamo attenti alle distanze, a indossare le mascherine e a lavarsi le mani, può risalire.
Non facciamoci ingannare dai numeri, stiamo parlando di un virus molto pericoloso».
Del resto, dal territorio all’ospedale, lo schieramento di sanitari contro il coronavirus è ancora imponente. E da parte di chi deve prendersi cura dei malati la raccomandazione ai cittadini è di «stare attenti». Ma cosa succede, oggi, in piena Fase 2 ai contagiati? Cosa li aspetta? Chi è positivo al tampone ma non ha sintomi, o comunque molto lievi, resta a casa o va in un hotel quarantena, dove le sue condizioni vengono controllate, per telefono, dal medico di famiglia, o dalle
Usca, le unità mobili. Se i sintomi compaiono, a partire dalla febbre alta, non va automaticamente in ospedale. Le Usca fanno visite a domicilio e hanno a disposizione molti medicinali: non gli antivirali, che sono appannaggio degli ospedali, ma comunque paracetamolo per la febbre, antinfiammatori e idrossiclorochina per evitare reazioni anomale del sistema immunitario, antibiotici per infezioni batteriche correlate, eparina per evitare trombi. Parametro chiave da monitorare è la saturazione dell’ossigeno nel sangue, la spia di problemi respiratori.
Ma «rispetto a due mesi fa, quando si mandavano pazienti in ospedale per la saturazione bassa, ora la valutazione è più ampia. Anche in caso di gravi problemi gastrointestinali o di seria astenia si prescrive il ricovero — spiega Baldini — Ma la percentuale di casi gravi diminuisce: l’isolamento domiciliare ha aiutato molto a ridurre i contatti e a una migliore gestione del paziente». Ora, insomma, ora si cura prima. E per quanto non ci siano terapie risolutive, la partenza anticipata funziona. I pazienti più gravi finiscono però in ospedale, dove, oltre agli antivirali, «la vera differenza rispetto a casa
— dice Baldini — è la possibilità di fornire ossigeno», con la mascherina o con l’intubazione.
In alcuni ospedali si sperimentano nuove terapie, come la cura del plasma (a Pisa e presto anche nell’Asl Centro).Se dovessero tornare a risalire i contagi, gli ospedali, benché abbiano ridotto i posti letto Covid, sembrano comunque pronti a gestire l’eventuale risalita dell’epidemia. Ci sono infatti strutture da riattivare in caso di emergenza: da Careggi, che ha creato una clinica Covid di tutto punto, ai reparti di terapia intensiva di Lucca e Massa, in mano alla Protezione Civile. Ma la priorità, ripete la dottoressa Baldini, è «evitare di pensare che sia tutto alle spalle. Bisogna fare tutti grande attenzione»
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Progressi «La percentuale di casi gravi è molto calata grazie all’isolamento domiciliare»