Corriere Fiorentino

QUELL’ISOLA SOSPESA TRA ONDE DI AUTO (SPECCHIO DI FIRENZE)

- di Vanni Santoni

Ammetto che non mi aspettavo tanti messaggi e una tal messe di «stories» Instagram per un pezzo su un camposanto, e credo sia prima di tutto la conferma dell’affetto dei fiorentini per il Cimitero delle Porte Sante. Ringrazio in particolar­e chi mi ha consigliat­o di continuare con l’altro nostro celeberrim­o cimitero, quello degli Inglesi. Fu, infatti, tra i primi luoghi di cui mi innamorai quando tornai a vivere qui: ci andai perché sapevo che era stato modello per i «quadri maledetti» di Bocklin, la serie di tele dal comune titolo L’isola dei morti. Una raffiguraz­ione che è il marchio di un destino: quello che era solo un cimitero acattolico su una montagnola fuori le mura, acquistata dalla Chiesa evangelica riformata svizzera, si sarebbe fatto isola quando il Poggi, volendo imporre la propria idea di grandeur alla futura capitale, vi piazzò attorno l’ovale di piazza Donatello. D’un tratto, il Cimitero degli Inglesi divenne, per posizione e presenza scenica, un luogo chiave della mappa urbana, ma tale preminenza sarebbe durata poco: una forza imprevista, quella del traffico automobili­stico, si sarebbe presto imposta sulle carrozze, riempiendo le strade e rendendo l’isola più simile a un faraglione assediato dai flutti.

Da lì, diventaron­o sempre meno i fiorentini a farvi tappa (non ci incontro infatti mai nessuno, se non dei senza fissa dimora che vi asciugano i panni, certi della propria invisibili­tà). Pure, questo destino che parrebbe infausto, ben si lega col piglio romantico del cimitero e dei suoi veri «abitatori»: capeggiati da Elizabeth Barrett Browning, che vanta un sarcofago rialzato su colonne, sono qui sepolti più poeti, scrittori e pittori romantici di quanti non ne vantino i cimiteri londinesi, ed è facile immaginarl­i apprezzare tale scarsità di visitatori. Nell’epoca futura in cui ci libereremo dai trasporti su gomma, l’isola tornerà a essere giardino frequentat­o, e i loro fantasmi forse torneranno in patria. Adesso, per i pochi che osano spingersi all’interno, è ancora uno specchio di Firenze; non limpido come quello delle Porte Sante, ma distorcent­e, testimonia­nza del modo in cui i forestieri vedevano e romanticiz­zavano il nostro passato, e anche per questo è utile al fiorentino: basta un giro nell’atmosfera sospesa che vi si respira per tornare poi in città capaci di trovare malìe a ogni angolo, come un inglese arrivato a metà Ottocento.

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