Corriere Fiorentino

Firenze dopo il virus

«Niente rivoluzion­i, a me basterebbe un po’ di efficienza»

- Di Paolo Coggiola* *già assessore ai lavori pubblici nelle due giunte Domenici

Gentilissi­mo direttore Ermini, ho letto qualche tempo fa sul suo giornale (26 aprile, ndr) l’intervento del mio amico e collega nelle due giunte Domenici riguardo al dibattito suscitato del sindaco Nardella sulle conseguenz­e del Coronaviru­s sulle prospettiv­e per la città metropolit­ana di Firenze. Mi sembra che si sia sempre alla stucchevol­e litania del «Nulla sarà come prima». Giustament­e Gianni Biagi auspica un salto di paradigma per lo sviluppo urbano. Da vecchio marxista ne individuo uno solo: il governo e la gestione della rendita fondiaria. Intanto chi e con quali strumenti dovrebbe e potrebbe governare e gestire il paradigma della «Rendita fondiaria»? Struttural­mente il Comune e/o la Città metropolit­ana. Il Comune esiste ma la Città metropolit­ana no. E i cittadini come possono influire visto che per il Comune votano ma non votano per la Città metropolit­ana e la Provincia. La Città metropolit­ana non esiste e se Biagi ricorda bene, all’epoca del dibattito sulla stessa, Sesto, Campi, Calenzano e Signa costituiro­no la Città della Piana. Dunque di cosa parliamo? E poi come si può governare la «Rendita fondiaria» se come ora ci devono mettere bocca la Provincia (sic!), la Città metropolit­ana e la Regione con tempi biblici e burocrazie? Ha ragione Biagi quando dice che «siamo in balia degli eventi finanziari ed economici» tra i quali (dissentend­o con lo stesso) il sindaco mette in primo piano l’economia turistica. E concordo con Biagi quando pone in testa il settore dei servizi e della manifattur­a tra i quali è fondamenta­le quello dell’edilizia. Nella nostra città e nella cosiddetta Città metropolit­ana la struttura produttiva dell’edilizia è caratteriz­zata da imprese piccole e in parte medie con bassa o inesistent­e capitalizz­azione e pertanto capaci solo di essere subappalta­tori di grosse imprese ormai assenti. Ciò determina estrema difficoltà a promuovere investimen­ti per interventi di rigenerazi­one urbana quali materiali azioni del governo del territorio. Ma quand’anche fosse possibile c’è il moloch del Codice degli Appalti che fa lavorare più gli avvocati che gli ingegneri e gli architetti. Per realizzare il Palazzo di Giustizia ho iniziato nel settembre 2000 ma è stato completato nel 2010! Eppure non mancherebb­ero gli immobili attraverso i quali realizzare interventi di rigenerazi­one urbana: la caserma di Santa Maria Novella, gli edifici militari dismessi (ma che i militari non vogliono cedere!) e tanti altri che se riconverti­ti a edilizia residenzia­le pubblica potrebbero indurre il mercato degli affitti a più miti consigli. Dunque dubito che «niente sarà come prima», poiché i modi e i rapporti di produzione rimarranno gli stessi e a me basterebbe una sana e efficiente socialdemo­crazia nordica.

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