Firenze dopo il virus
«Niente rivoluzioni, a me basterebbe un po’ di efficienza»
Gentilissimo direttore Ermini, ho letto qualche tempo fa sul suo giornale (26 aprile, ndr) l’intervento del mio amico e collega nelle due giunte Domenici riguardo al dibattito suscitato del sindaco Nardella sulle conseguenze del Coronavirus sulle prospettive per la città metropolitana di Firenze. Mi sembra che si sia sempre alla stucchevole litania del «Nulla sarà come prima». Giustamente Gianni Biagi auspica un salto di paradigma per lo sviluppo urbano. Da vecchio marxista ne individuo uno solo: il governo e la gestione della rendita fondiaria. Intanto chi e con quali strumenti dovrebbe e potrebbe governare e gestire il paradigma della «Rendita fondiaria»? Strutturalmente il Comune e/o la Città metropolitana. Il Comune esiste ma la Città metropolitana no. E i cittadini come possono influire visto che per il Comune votano ma non votano per la Città metropolitana e la Provincia. La Città metropolitana non esiste e se Biagi ricorda bene, all’epoca del dibattito sulla stessa, Sesto, Campi, Calenzano e Signa costituirono la Città della Piana. Dunque di cosa parliamo? E poi come si può governare la «Rendita fondiaria» se come ora ci devono mettere bocca la Provincia (sic!), la Città metropolitana e la Regione con tempi biblici e burocrazie? Ha ragione Biagi quando dice che «siamo in balia degli eventi finanziari ed economici» tra i quali (dissentendo con lo stesso) il sindaco mette in primo piano l’economia turistica. E concordo con Biagi quando pone in testa il settore dei servizi e della manifattura tra i quali è fondamentale quello dell’edilizia. Nella nostra città e nella cosiddetta Città metropolitana la struttura produttiva dell’edilizia è caratterizzata da imprese piccole e in parte medie con bassa o inesistente capitalizzazione e pertanto capaci solo di essere subappaltatori di grosse imprese ormai assenti. Ciò determina estrema difficoltà a promuovere investimenti per interventi di rigenerazione urbana quali materiali azioni del governo del territorio. Ma quand’anche fosse possibile c’è il moloch del Codice degli Appalti che fa lavorare più gli avvocati che gli ingegneri e gli architetti. Per realizzare il Palazzo di Giustizia ho iniziato nel settembre 2000 ma è stato completato nel 2010! Eppure non mancherebbero gli immobili attraverso i quali realizzare interventi di rigenerazione urbana: la caserma di Santa Maria Novella, gli edifici militari dismessi (ma che i militari non vogliono cedere!) e tanti altri che se riconvertiti a edilizia residenziale pubblica potrebbero indurre il mercato degli affitti a più miti consigli. Dunque dubito che «niente sarà come prima», poiché i modi e i rapporti di produzione rimarranno gli stessi e a me basterebbe una sana e efficiente socialdemocrazia nordica.