Corriere Fiorentino

Opera Prima

Veronica Galletta, da Livorno al podio del Campiello

- di Vanni Santoni

Veronica Galletta, ingegnere livornese (ma nata a Siracusa nel ’71) ha appena vinto il Premio Campiello Opera Prima con il suo libro d’esordio Le isole di Norman, un romanzo che, racconta l’autrice, «è la storia di una famiglia, di un luogo, di un momento storico. La protagonis­ta abita sull’isola di Ortigia insieme al padre, ex militante comunista, e alla madre, che vive chiusa in camera da diversi anni. Un incidente accaduto anni prima ha aperto una crepa nelle dinamiche familiari ma ognuno di loro fa finta di niente. Quando la madre decide di sparire, Elena cerca di elaborare la sua assenza dando inizio a un viaggio rituale attraverso i luoghi dell’Isola. Sullo sfondo c’è un momento storico ben preciso, quello tra il 1991 e il 1992, molto particolar­e per l’Italia (la fine del PCI, le stragi di mafia) e per Ortigia, che comincia a essere oggetto di attrazione turistica e quindi di trasformaz­ione».

Ricordo bene quando ne leggesti un estratto a un mio corso. Sembra ieri eppure è passata molta acqua sotto i ponti, visto che ora sei un’autrice pubblicata e premiata col più importante riconoscim­ento italiano per gli esordienti.

«Sono contenta, come è normale che sia. Sono forse un po’ più contenta per il contesto in cui mi sono ritrovata a lavorare, con una casa editrice piccola ma di progetto. Editore, editor, ufficio stampa: un rapporto forte, in cui a una notizia del genere un po’ urli, un po’ piangi, un po’ lavori tutta la notte».

«Le isole di Norman» è un romanzo con una storia lunga e accidentat­a, già classifica­to al Premio Calvino ma rimasto inedito per molto tempo…

«Sono arrivata alla scrittura tardi, a metà 2012, quando in un’estate caldissima ho scritto chiusa in albergo, mentre mio figlio dormiva. Scrivevo su un quaderno, la prima ossatura di un altro libro. Quando, tre anni dopo, sono arrivata in finale al Calvino con Le isole di Norman, ho pensato: cavoli! Ma è così facile allora? Mi sbagliavo, adesso lo sappiamo, però il Calvino mi ha permesso comunque di dire, ok: ci sono, esisto. Questa cosa la so fare. E quindi di proseguire a scrivere».

L’altro libro di cui parli è quello che anni dopo sarebbe arrivato in finale al Premio Neri Pozza: anche lì pubblicazi­one solo sfiorata.

«Era il 2017 e avevo già un tipo di consapevol­ezza diversa del mondo dei libri; quando sono arrivata in cinquina, dopo una selezione fra più di 1400 testi, là ho pensato: eccoci. Andiamo. E invece non è andata. È stato un momento difficile. Però ho ripreso, ho scritto ancora.

Credo che essere donna e non «under-30» sia penalizzan­te per un esordiente…

«Non posso dire che non sia una domanda che non mi sono fatta. Ma ho sempre cercato di mantenere il giusto equilibrio tra farsi una domanda e farsene schiacciar­e. Poi, certo, adesso posso dirti che parlare di “under-30” è un punto di vista maschile, tant’è che si applica soprattutt­o alle donne. Inoltre credo che sia una questione generale, quella delle donne in editoria, anzi nella società italiana. Vengo da un mondo, quello dei cantieri, fatto di uomini e per gli uomini (basta provare a usare un bagno chimico in un cantiere per capirlo) e certe dinamiche le conosco».

Alla fine è arrivata ItaloSvevo…

❞ Sono arrivata alla scrittura tardi, a metà del 2012, quando in un’estate caldissima ho scritto in albergo mentre mio figlio dormiva

«Otago, la mia agenzia letteraria, ha incontrato il presidente Alberto Gaffi e gli ha parlato di me. Contempora­neamente, o quasi, mi ha contattata l’editor Dario De Cristofaro. Stava lavorando al progetto di una nuova collana si era messo a spulciare Flanerí, la rivista letteraria di cui è caporedatt­ore, trovando La capra nera, un mio racconto del 2014. In un paio di mesi ha letto, mi ha detto va bene, mi piacciono e così ho firmato».

Che tipo di lavoro hai fatto con l’editor?

«Principalm­ente di sistematiz­zazione e pulizia. Le isole di Norman è il primo testo in forma di romanzo che ho scritto, più di sei anni prima dell’editing».

Aver frequentat­o dei corsi di scrittura ti è servito?

«Sì, a conoscere altri lettori, e a sentire parlare di libri. Ho letto sempre tanto, in maniera disordinat­a e solitaria, ma soffrivo di non poter parlare di libri con nessuno. Sentirne parlare in maniera tecnica, per capire meglio cosa trovarci dentro, e come smontarli».

E aver insegnato in dei corsi di scrittura?

«Insegnare mi ha aiutato a capire meglio le mie ossessioni. Messa di fronte a quelle degli altri, che ti portano le loro cose, e tu capisci di loro leggendo, e capisci anche quanto sia importante maneggiare con cura le parole degli altri, rifletti anche meglio sulla cura che devi alle tue».

Nell’albo d’oro del premio figurano nomi come Parrella, Missiroli, Piperno, Giordano, divenuti di primo piano nella narrativa italiana. Inevitabil­e la domanda: prossimo progetto?

«Non lo so, ci devo riflettere, con tutto il tempo che necessita. Per fortuna in tutti questi anni mi sono creata una rete fidata di persone attorno, a partire dai miei due agenti, con cui mi confronter­ò. Posso dire però che sono felice che la casa editrice abbia scelto di farmi uscire proprio con Le isole di Norman, che è comunque il primo testo che ho scritto, e al quale sono quindi particolar­mente affezionat­a».

❞ Per una donna non under 30 è più difficile esordire rispetto a un uomo, vengo dal mondo dei cantieri e certe dinamiche le conosco

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Veronica Galletta, nata a Siracusa e livornese d’adozione

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