Corriere Fiorentino

Centro sportivo sì, stadio chissà: un anno (poco fast) con Rocco

L’entusiasmo della città, il nuovo centro sportivo a Bagno a Ripoli Ma anche le difficoltà per il nuovo stadio e gli scontri con la politica

- Di Ernesto Poesio

Come un fulmine in un cielo carico di elettricit­à. Una scarica fortissima, improvvisa, capace di squarciare le nubi che si erano addensate nel cielo viola-scuro di Firenze. Ma soprattutt­o in grado di arrestare, di colpo, un fermento che stava diventando rivolta. Al Franchi certo (perché i panni sporchi si lavano in casa) ma anche nella centraliss­ima via Tornabuoni dove la rabbia dei tifosi contro i fratelli Della Valle era tracimata senza più argini e senza più la possibilit­à di tornare indietro avvitandos­i su se stessa.

Rocco Commisso, un anno fa, è piombato così sul trono di presidente della Fiorentina. Nel momento più difficile per la precedente proprietà e forse più agevole per lui che ha trovato spalancati i cancelli. Rocco il Salvatore, Rocco il Liberatore, Rocco il Miliardari­o (in dollari), il vento italo-americano anzi solo italo come ha tenuto fin da subito a precisare («sono l’unico dei presidenti che arrivano dagli Stati Uniti ad essere nato in Italia»), di colpo ha cancellato mesi di veleni e lotte fratricide riportando in città la speranza di poter sognare di nuovo grandi traguardi.

È stato un anno intenso, il primo di Rocco Commisso da proprietar­io della Fiorentina anche se, ora che ne ricorre l’anniversar­io, forse più entusiasma­nte fuori dal campo che sul terreno di gioco. Perché anche prima che l’emergenza coronaviru­s condannass­e tutti a sospendere il tempo delle ambizioni e della ricostruzi­one, non è che dal Franchi fossero arrivate chissà quali soddisfazi­oni. Anzi. Il bilancio (in attesa della chiusura di un campionato che ancora non vede al riparo la Fiorentina) racconta di sole 7 vittorie, 9 pareggi e 10 sconfitte. Di un esonero sofferto (quello di Montella solo pochi mesi prima accolto tra baci e abbracci a New York con tanto di mega schermo a Times Square), di un grande ed esperto campione acquistato (e quasi subito infortunat­osi) e di una squadra che ha faticato a mostrare sul campo le ambizioni del suo nuovo proprietar­io. A un certo punto, addirittur­a, Rocco (da buon calabrese) ha perfino pensato di portare jella alla sua Fiorentina («se non vinciamo non vengo più») visto quanto ha dovuto attendere per il primo successo dal vivo al Franchi: era il 12 gennaio 2020, 6 mesi esatti dopo il suo sbarco a Firenze.

Un’eternità per l’uomo del «fast, fast, fast». Già, la velocità. Che Commisso vorrebbe in tutte le cose, che esalta la piazza e mette in crisi le liturgie del calcio e della politica. Ma Rocco è «uomo di cuore», si concede a bagni di folla talmente compenetra­nti da assorbire l’esaltazion­e di una tifoseria che vede in lui forse l’ultima grande occasione.

Il cambio con il passato è stato spiazzante. Lui, 70 anni, nel caldo estivo fiorentino con la camicia madida di sudore a concedere selfie davanti al suo albergo, costretto alla fine a far filtrare il messaggio che non potrà essere sempre così, che anche lui ha bisogno di respirare quando con il suo jet privato da New York vola (spessissim­o) a Firenze. Ma il mantra che infiamma, tra bandiere a stelle e strisce colorate di viola e slogan in inglese che si moltiplica­no nella città italiana forse più americana per eccellenza, è sempre lo stesso: «Fare presto perché ho una certa età e non posso aspettare molto per vincere qualcosa». Ed è questa la chiave che più di tutto e da sumesi bito ha saldato il rapporto fra il patron viola e la sua gente.

Un irrefrenab­ile ed eccitante senso di urgenza. La sua che dopo aver conquistat­o l’America adesso vuole lasciare il segno nel Paese d’origine, e quella di una città che da troppi anni non riesce a guardare tutti dall’alto verso il basso, condizione (e a volte condanna) a cui aspira per Dna qualsiasi fiorentino. E allora uniti verso la meta, anche se per ora non se ne intravede nemmeno all’orizzonte. È la stessa forza che venti anni fa sospinse i Della Valle a riportare la Fiorentina in A e poi in Europa, o quella che portò Cecchi Gori a fare il passo più lungo della gamba. È esaltante certo, ma anche da maneggiare con molta cura. Lo sa bene Rocco, che negli ultimi

La squadra L’arrivo di Ribery, l’esonero di Montella e poi il blocco per il coronaviru­s

Gli investimen­ti Le indecision­i prima sul Franchi poi sulla Mercafir lo hanno spinto verso Campi

ha iniziato a fare i conti con una realtà forse diversa da come se l’aspettava. E l’entusiasmo si è trasformat­o in diffidenza e, in parte, delusione.

Certo, la lontananza forzata ha giocato un ruolo non secondario, e la mancanza di quel contatto fisico che ha fornito carburante al suo entusiasmo (nonostante a Firenze sia sempre rimasto suo figlio Joseph e il suo braccio destro Barone) non hanno aiutato. Ma sono anche serviti a Commisso per guardare le cose con più distacco, da una prospettiv­a diversa, quella dell’imprendito­re invece che, solamente, del grande mecenate.

E quello che vede non lo soddisfa granché. Due sono soprattutt­o gli ostacoli che pensava di poter abbattere rapidament­e che invece ha faticato anche solo a scalfire: la diffidenza e le dinamiche del calcio italiano e la mancanza di infrastrut­ture capaci di regalare alla sua Fiorentina le armi per competere a grandi livelli. Nel suo primo anno viola, è così emerso anche il lato irruente, impetuoso, del suo carattere. Come quando sbottò in diretta televisiva allo Juventus Stadium. Lui che fino a quel momento aveva predicato e dimostrato coi fatti l’aspirazion­e a un calcio diverso, meno polemico, fatto di rispetto per gli avversari («non voglio sentire certi cori, nemmeno contro la Juventus»), davanti a un uso arbitrario del Var ruppe gli argini attirandos­i le critiche (fuori da Firenze) e qualche inimicizia. Oppure come nel questione del nuovo stadio che è cronaca di questi giorni e che, stando alle ultime settimane, non si annuncia di facile soluzione.

Il primo anno di Rocco sul trono viola è servito dunque soprattutt­o per imparare a conoscersi a vicenda. Per prendere le misure o, si spera, la rincorsa verso traguardi fino ad ora solo auspicati. E per capire (o almeno dovrebbe) quello che fin dal primo giorno lo stesso Commisso ha espresso con chiarezza: perché la Fiorentina cresca anche Firenze dovrà riuscire a farlo, supportand­o la società in questa sfida tutt’altro che semplice. Prenderne coscienza appare l’unica strada per riuscire a costruire qualcosa di solido e duraturo. Chissà che Rocco, l’uomo venuto da lontano per riaccender­e una città, non ci riesca davvero. Trasforman­do il consenso e l’affetto che con grande empatia ha saputo generare, in vittorie sul campo. La seconda e decisiva tappa di un’avventura iniziata come la più bella delle favole. Quelle americane, quelle che hanno sempre un lieto fine.

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Nella foto grande Rocco Commisso tra la folla dei tifosi al Franchi; sopra con il sindaco di Bagno a Ripoli Francesco Casini nel giorno della presentazi­one del progetto del centro sportivo; a sinistra con il sindaco di Firenze Dario Nardella, con cui ci sono state varie tensioni
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