«Negli Usa sono i sindaci a chiamare gli imprenditori»
Il console Wohlauer: «Rocco incarna un’incredibile storia di successo»
Rocco Commisso «come ogni imprenditore Usa, “balla da solo”». E nessuno si stupisca che si lamenti della burocrazia italiana e della politica: «Negli Stati Uniti, governatori e sindaci chiamano gli imprenditori per portarli nei propri territori». Con Benjamin Wohlauer, Console degli Stati Uniti d’America a Firenze (ancora per poco, finisce il suo mandato a luglio e partirà per la Cambogia) e un’esperienza decennale a fianco di investitori italiani e statunitensi, proviamo a capire meglio l’approccio di Commisso «l’americano», ma anche italiano. Dirompente in entrambe le accezioni.
Duecentouno anni fa il Consolato nacque con James Ombrosi che aiutava docenti e studiosi Usa a visitare i luoghi di arte e cultura della Toscana. Ora si può creare un altro ponte, questa volta con il calcio, tra i due Paesi?
«Di sicuro quello di Commisso è già stato e sarà un investimento importante. Il calcio da voi è strategico. In Toscana, a Firenze, ci sono tantissimi investitori americani grandi. Ma è ovvio Commisso diventerà il nome americano più conosciuto in Toscana, anche se qui restano 30 mila cittadini Usa. La comunità americana è grandissima. Come quella delle imprese, che danno lavoro ad almeno 12 mila persone. E tutti gli imprenditori Usa che hanno acquisito aziende italiane, ne hanno mantenuto brand e immagine: un po’ come ha fatto Commisso. Ed anche con la crisi, tutte le aziende Usa hanno deciso di restare».
Arrivato a Firenze, Commisso ha subito tenuto una lezione agli studenti di business delle università Usa.
«È tipico della nostra cultura americana. Gli studenti non vogliono solo teoria, vogliono capire come si fa davvero impresa
da chi la fa. Ma anche come si riparte dopo che si è falliti. Da noi non c’è lo “stigma” del fallimento. Chi non ha fallito non sa sopravvivere nei momenti difficili. È lo spirito americano».
Ha incontrato Commisso? «Certo. Commisso incarna una storia bellissima: un americano nato in Italia, un imprenditore che è riuscito ad avere successo negli Usa ma voleva tornare qui a caccia del sogno di avere una squadra di calcio. Ha mantenuto un legame con la propria patria: noi puntiamo su questo tipo di storia per rafforzare il legame tra i nostri Paesi».
Ma c’è una grande differenza culturale tra imprenditori italiani e Usa. Ed in tanti atteggiamenti di Commisso diciamo si nota: più velocità, richieste a volte dirette e pubbliche. Ma c’è una differenza tra i modi di fare impresa in Usa e in Italia?
«Forse c’è da abituarsi a sistemi che sono davvero diversi. Certo, ho trovato manager Usa lamentarsi della burocrazia italiana e imprenditori italiani lamentarsi del clima “freddo” Usa: quando vai in difficoltà, non ti aiuta nessuno. Qui c’è una “rete” che aiuta, a partire dagli ammortizzatori sociali».
Ma quando ha incontrato Commisso, lei gli ha spiegato quanto è difficile la burocrazia italiana?
«Guardi, non ci ha chiesto aiuto o consulenze dirette,anche se noi ovviamente restiamo disponibili. Ma anche questa è una caratteristica Usa: gli imprenditori preferiscono portare avanti l’impresa senza cercare la politica».
Ballano da soli...
«Eh sì: anche perché normalmente, negli Usa, governatori e sindaci cercano gli imprenditori per offrirgli le condizioni migliori per investire».
Anche i Comuni?
«Sì: soprattutto quelli grandi, hanno uffici ad hoc per attrarre investimenti. E sullo sport c’è una forte competizione: si arriva a “scippare” squadre che scappano via nella notte per un’altra città, crudele per i tifosi. Alcuni sindaci mettono tasse per finanziare infrastrutture o agevolare l’arrivo di impianti o società sportive ma anche semplici aziende, come mi ha raccontato un imprenditore italiano: veniva chiamato un giorno sì ed uno dal governatore dello Stato: “Allora, di cosa hai bisogno per insediarti qua?”».
Da noi si rischia la galera, con tutti questi contatti tra politica e impresa!
«Il sistema è diverso».
È ottimista sul nuovo stadio proposto da Commisso?
«Da diplomatico dico: c’è sempre una possibilità. Noi siamo sempre pronti ad aiutare: Commisso fino ad ora è andato avanti da solo, da imprenditore Usa».
Lei sta per cambiare sede, destinazione Cambogia: cosa si porterà dietro di questi tre anni di Firenze?
«Beh, intanto sto cercando tutti gli importatori di vino italiano in Cambogia! Ma la cosa più bella è il rapporto speciale che c’è tra gli Stati Uniti e Firenze, una storia lunga secoli di relazioni positive. Gli Usa hanno sempre aiutato Firenze, e l’Italia, nei momenti difficili. Gli aiuti, per questa crisi, sono già partiti, gli Usa hanno già contribuito con 50 milioni di euro alla sanità italiana. Le aziende con 35. Non sono solo relazioni diplomatiche: siamo una famiglia».
Approcci diversi
C’è una gara spietata per accaparrarsi aziende ma anche impianti sportivi e per finanziarli le città si tassano...