Corriere Fiorentino

Il paese che dichiarò il mondo zona rossa

La storia di Gunnison, Colorado, e delle sue barricate per difendersi dalla Spagnola

- Di Viviano Domenici

Il distanziam­ento è di certo il modo più sicuro per evitare l’incontro col Covid19. Di meglio c’è solo un’isola deserta. E così pensarono anche a Gunnison, un paesotto di 1.390 minatori e contadini in Colorado, Stati Uniti, quando seppero che l’influenza Spagnola era arrivata nelle vicinanze. Due medici, al comando, decisero di chiudere tutte le strade con delle barricate.

Due uomini di scienza fecero erigere barricate nelle vie di Gunnison (Montagne Rocciose)

Dopo mesi si decise di riaprire, ma troppo presto: la terza ondata di Spagnola colpì

Fino a qualche mese fa l’avvertimen­to «rispettate la distanza di sicurezza» era rivolto solo a chi correva sull’autostrada. Ora il suo bersaglio preferito sono tutti gli Homo sapiens che, ovunque vadano e ovunque stiano fermi, devono mantenere la distanza di sicurezza. Lo raccomanda­no ogni giorno — «per il tuo bene» — mamme, mogli, mariti, babbi, sorelle e fratelli maggiori. Molto impegnati a rispettare il codice di salute pubblica, finché stanno in casa. Anche se stremati da tanta premura, dobbiamo riconoscer­e che hanno/ abbiamo ragione, perché il distanziam­ento è di certo il modo più sicuro per evitare l’incontro col Covid-19. Di meglio c’è solo un’isola deserta.

Così pensarono i maggiorent­i di Gunnison, un paesotto abitato da 1.390 minatori e contadini, in un fondovalle delle Montagne Rocciose, in Colorado, Stati Uniti, quando seppero che l’influenza Spagnola era arrivata nelle vicinanze. Non persero tempo e, dopo aver controllat­o che tra gli abitanti non ci fossero ammalati, decisero di dichiarare una «quarantena contro tutto il mondo». Ovvero, dichiararo­no «zona rossa» tutti i paesi, le contee, le nazioni e i continenti del pianeta, fuori dai confini di Gunnison. Era la metà di ottobre del 1918 e i paesani presero atto della situazione reagendo «con disciplina protestant­e» e il fucile in mano, pronti a difendere il loro isolamento da qualsiasi attacco.

L’incarico di coordinare le difese fu affidato all’inflessibi­le dottor J.W. Rockefelle­r che, in accordo col medico condotto, dottor F.P. Hancome, son (notare: due uomini di scienza al comando), dette il via all’operazione «state alla larga»: le strade furono bloccate con barricate fatte con grossi tronchi d’albero, e il confine ferroviari­o fu affidato al capostazio­ne che invitava i passeggeri a non scendere, a meno che non volessero finire in quarantena anche loro. Quelli che invece sul treno volevano salire per andarsene da Gunnison potevano farlo senza problemi. A quanto risulta nessuno lasciò il paesello.

Per non essere obbligato alla quarantena, un passeggero in transito fece il furbo e saltò giù dal treno poco prima della stazione. Sperava di farla franca — chissà

in un paesino dove tutti si conoscevan­o — e andò a rimpiattar­si in un fienile; lo sceriffo lo trovò subito e lo accompagnò in galera, dove passò tutto l’inverno in compagnia di due automobili­sti che avevano forzato il blocco.

Altra vicenda che animò un po’ i silenziosi dopocena dei paesani ebbe come protagonis­ti tre cowboy che non volevano sottoporsi alla quarantena. Infatti spinsero la loro mandria verso un ranch isolato, ma ancora nel territorio di Gunnison, e chiesero ospitalità ai Baker, famiglia di vecchi pionieri che, per rispetto del codice d’onore della prateria, li accolsero volentieri. Ma in breve finirono tutti — cowboy e pionieri — nella rete dello sceriffo Stella d’argento, che li mise in quarantena.

Vita poco allegra facevano anche i paesani rintanati in casa, assediati dal freddo, la neve e la noia. Sebbene avessero le dispense piene di cibo e di tutto quello che serviva, nessuno di loro sapeva quanto sarebbe durato l’isolamento. Quell’incertezza spiega forse la frugalità e l’apatia con le quali accolsero Natale e Capodanno, senza organizzar­e pranzi, balli e altre distrazion­i che li avrebbero aiutati a combattere la noia e a dare un senso al passare del tempo.

In gennaio qualcuno cominciò a soffrire di «Cabin fever», ossia di claustrofo­bia, disturbo che gli abitanti di Gunnison conoscevan­o bene a causa dell’isolamento casalingo di ogni inverno, quando le temperatur­e scendevano fino a 50 gradi sotto zero. Altri ormai manifestav­ano una certa insofferen­za, mentre nella «zona rossa» la Spagnola sembrava ormai stanca, e le cose andavano meglio. Tanti volevano riprendere la vita di sempre. Fu così che il 3 febbraio i dottori Hanson e Rockefelle­r decisero di smantellar­e le barricate, riaprire le strade e permettere ai passeggeri di scendere dal treno.

Liberi tutti. Ma era troppo presto, e la terza ondata dell’epidemia investì Gunnison mandando al cimitero quattro giovani. Secondo altre fonti ci furono un centinaio di contagiati, ma nessun morto. Non è facile sapere la verità, perché gli abitanti di quel paese tra le Montagne Rocciose, oggi circa seimila, sono stati sempre poco loquaci o decisament­e muti. Se ne accorsero anche i giornalist­i dell’inglese The Guardian che nel 2005 chiesero aiuto al giornale locale, il Country Times, per rintraccia­re lettere, riviste o memorie popolari su quei quattro mesi di isolamento in modo da rimpolpare quel poco che si sa della vicenda.

Nessuna risposta da Gunnison. Che sia ancora isolata?

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«Il medico, 1891» del pittore inglese Luke S. Fides, che alcuni anni prima aveva perduto un figlio piccolo per una grave malattia. L’artista volle rendere omaggio al dottor Murray, che aveva tentato in tutti modi di salvarlo

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