Il caffè di Giuliano
Tanti riferimenti a Firenze, dal solito Machiavelli all’arte di Palazzo Strozzi
Stavolta occorre partire dalla fine. Perché il nuovo libro di Matteo Renzi, La mossa del cavallo (Marsilio Editore) si conclude con una lettera alla generazione di Ascanio, il giovane della statua del Bernini in copertina. Lì c’è Enea che prende in braccio suo padre Anchise, ma sotto c’è il futuro, il figlio Ascanio. Cioè la generazione a cui lasciamo «altri 80 miliardi di debiti, quelli che abbiamo usato per affrontare la crisi». Scritto durante la pandemia, le 214 pagine si concludono con una «lettera della partenza», quella che nella tradizione scout (a cui Renzi si rifà sempre, anche quando si candidò per le primarie nazionali contro Bersani) rappresenta il momento in cui, «concluso il proprio cammino educativo», si scrive per «dire ai compagni di clan cosa si intende fare della propria vita, per mettere nero su bianco sogni e desideri, per fare un bilancio di quanto vissuto ed un rilancio dei propri progetti». E la lettera è rivolta «a voi che credete nell’impegno politico», agli Ascanio.
Nel libro, mentre si parla di grandi infrastrutture e made in Italy, riforme istituzionali e della giustizia, si legge una profonda amarezza per molte vicende politiche e personali, come quelle che hanno riguardato i familiari di Renzi (ancora sotto giudizio), ma soprattutto le fake news arrivate anche durante la pandemia, «come il video della partita di pallavolo in casa nostra con la mia famiglia, presentato come uno scandalo, quando si capiva perfettamente, dalla mia pinguitudine e dagli errori di gioco, che eravamo solo noi a giocare insieme. Ma intanto era diventato virale».
L’approccio di Renzi però è quello di Don’t look back in anger degli Oasis, non guardare indietro con rabbia «e sorridere al mondo». «Il fallimento è un momento privilegiato per ricordarvelo e per ricominciare» è il messaggio ai giovani di Renzi, che prova con il suo libro a superare i messaggi, i post, i like dei social che fanno da sponda secondo lui (che pure sui social ha costruito parte del suo successo) al populismo, puntando invece «alla politica. Il dibattito pubblico incide sulla vita delle persone. Una città prende il carattere del dibattito pubblico» della politica, delle istituzioni, «perché se hai un ministro dell’Interno che parla solo in quel modo di immigrazione, fai crescere la rabbia» spiega Renzi. Invece «oggi servono parole di fiducia». È la pedagogia della politica (e del politico), che non sempre è stata nelle sue corde, diciamo.
Definire una nuova agenda del confronto politico, è il senso del libro di Renzi, dove Firenze c’è fin dall’inizio, con una citazione di Machiavelli («Ognuno vede quel che tu pari, pochi sentono quel che tu sei»), con l’esempio dei «timbri e delle carte bollate» che impediscono le grandi opere come l’aeroporto di Peretola. Ma Firenze c’è anche per le trasformazioni che ha portato una grande opera realizzata, l’Alta velocità, che ha contribuito a cambiare «umore, colore, sapore di un territorio» e che nel capoluogo toscano come in altre città ha contribuito a far volare il Pil, molto di più delle città senza Tav. Per questo bisogna semplificare le procedure per le grandi opere e portare l’Alta velocità a Sud «ora si ferma a Eboli», e puntare al Ponte sullo stretto di Messina. Per questo stesso motivo, Renzi resta contro la «decrescita felice» ma anche contro «il turismo massificato» per il futuro di Firenze, dove occorre avere «più volumi di prima» di turisti, ma diversi, che restino «almeno un giorno in più, per vedere cose diverse o fuori città». E come esempio cita proprio Palazzo Strozzi e ringrazia il direttore Arturo Galansino, le mostre di arte contemporanea e non solo «perché una delle mosse del cavallo è investire sulla cultura».
Ancora: sì a rappresentanti dei lavoratori nei Cda delle aziende e a distribuire loro utili, «un approccio alla Olivetti». Ma è anche preoccupato per i movimenti sociali che possono montare per la crisi: «Rischiamo una nuova tangentopoli, senza tangenti, per la rabbia delle persone». Per questo occorre «un’Europa dei popoli, non dei burocrati», «una istruzione e una sanità completamente ripensate». Ed anche se lui si cura poco dei sondaggi (anche se quello pubblicato da La Nazione gli fa dire che «Italia Viva sarà decisiva per la vittoria di Eugenio Giani») «perché contano le idee», il messaggio mandato nel libro è che adesso «dobbiamo tenere insieme riformismo, crescita economica, civiltà garantista, patriottismo della bellezza e della cultura». Ma a farlo pare non tocchi a lui: perché la lettera finale è rivolta ai giovani, agli Ascanio, che devono muoversi.
❞ In chiusura una lettera a tutti i giovani come Ascanio che credono nell’impegno pubblico