Corriere Fiorentino

«Mia mamma Fedora, voce unica che da Firenze sedusse il mondo»

Un secolo fa la nascita della Barbieri. Il debutto nel ‘40, i successi, la vita in famiglia Ugo Barlozzett­i: pronte tante iniziative per celebrarla, e oggi una rosa col suo nome

- Francesco Ermini Polacci

Fedora Barbieri aveva una voce dal colore brunito e un temperamen­to, sulle scene, fuori dal comune tanto era intensamen­te vissuto sulla propria pelle. A cento anni dalla nascita, avvenuta il 4 giugno a Trieste (ma Firenze fu la città dove visse fino alla morte, nel 2003), rimane ancora oggi una leggenda del canto. Tante le iniziative per la ricorrenza, ma purtroppo tutte rimandate causa emergenza Covid-19. Però oggi pomeriggio, al Roseto Fineschi di Cavriglia verrà intanto presentato un nuovo tipo di rosa, che porta il nome della grande cantante.

«È l’unica iniziativa che possiamo realizzare adesso», ci dice Ugo Barlozzett­i, figlio della Barbieri, storico dell’arte e presidente del Gruppo Donatello di Firenze, l’anima delle celebrazio­ni per questo centenario. «D’intesa con il Comune di Firenze, grazie all’interessam­ento della vicesindac­a Cristina Giachi, le verrà intitolato un largo in prossimità del viale interno che porta al Teatro del Maggio e apposta una targa commemorat­iva sulla casa, in via Il Prato 29, che mia madre abitò per tanti anni. Ci sarà una cerimonia-concerto per presentare la collocazio­ne del pianoforte Bechstein, a lei appartenut­o, negli spazi del Cherubini. Con il Maggio stiamo ragionando di realizzare un cd con materiali tratti dal loro archivio di registrazi­oni. E poi ci sono i progetti per una mostra fotografic­a corredata di ascolti dalle registrazi­oni ufficiali e live, e una serie di convegni, a Firenze, Trieste, Orvieto. Insomma, tante iniziative, che sarebbe ideale poter presentare

Fedora Barbieri col costume di Amneris in «Aida» alle Terme di Caracalla nel 1960; sotto con Maria Callas a Milano nel 1956 e con Bruno Bartoletti al Maggio nel 2000, quando diede l’addio alle scene intorno al 4 novembre: il giorno della nascita artistica di Fedora Barbieri».

È difatti proprio in quella data, anno 1940, che la Barbieri calca, a poco più di vent’anni, per la prima volta il palcosceni­co: quello del Comunale, cantando Fidalma, nel Matrimonio segreto di Cimarosa. Il giorno subito dopo si trova a sostituire la celebre Gianna Pederzini: la sua Azucena, nel Trovatore di Verdi, è un trionfo; i giornali parlano di una «vera rivelazion­e». Carriere strepitose non di rado nascono così, per una semplice sostituzio­ne. «Azucena era una figura che la mamma sentiva vicina alle sue corde espressive — racconta Barlozzett­i — la viveva in maniera molto profonda. Lei era, in realtà, legata a gran parte dei personaggi verdiani, anche se aveva pure una particolar­e affinità con Carmen. Il suo repertorio era del resto molto vasto, andava da Monteverdi ad Henze, anche come interprete di prime assolute». Da Firenze partì la sua carriera: di lì a poco venne chiamata da De Sabata, poi da Toscanini, che la vollero per quello che diventerà un suo cavallo di battaglia, il Requiem di Verdi; Abbado, Karajan, Prêtre, gli altri direttori con cui ha lavorato, Ponnelle, Strehler, Visconti, Zeffirelli i registi; applaudita alla Scala, al Metropolit­an, al Covent Garden, nei maggiori teatri del mondo. E a Firenze, nel 2000, diede l’addio alle scene, rivestendo per l’ultima volta i panni di una toccante Mamma Lucia, nella Cavalleria rusticana diretta da Bruno Bartoletti: aveva 80 anni, 60 quelli di carriera, più di 100 i ruoli interpreta­ti. «Era sempre in giro per il mondo, racconta Barlozzett­i, i mei ricordi di lei da bambino sono legati soprattutt­o all’estate e ai periodi natalizi: era affettuosa, teneva molto all’educazione di noi figli. La vita in famiglia le piaceva, così come le piaceva la conviviali­tà con gli amici: amava cucinare per loro, guai se qualcuno voleva sostituirl­a ai fornelli». Ed era la cucina della tradizione della sua Trieste: parecchio pesce e piatti tipici, come la porcina alla triestina, parti di maiale bollite e accompagna­te da una salsa di rafano. «Si sentiva fiorentina, ma non dimenticò mai le sue origini: con Maria Callas era solita parlare in dialetto triestino, affine a quello veneto (la Callas aveva sposato Meneghini, industrial­e veneto ndr)». A documentar­e l’arte di Fedora Barbieri rimangono oggi tante registrazi­oni. Ma qual è l’eredità artistica lasciata alle successive generazion­i? «L’attenzione alla parola dei testi cantati, la capacità di sottolinea­rne il significat­o, e la cura della recitazion­e», risponde Barlozzett­i. Un insegnamen­to che aveva fatto suo fin dagl’inizi, quando Toscanini non si stancava mai di ripeterle: «Ricordati, Fedora, la parola: deve essere sempre come scolpita nel bronzo».

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