Corriere Fiorentino

Il museo vada oltre il museo

Dopo la proposta di Schmidt La restituzio­ne delle opere ha un senso se accompagna­ta da una progettual­ità Duccio in Santa Maria Novella? Solo se inserito in un’operazione che valorizzi il complesso domenicano

- di Andrea De Marchi*

Mette il dito in una piaga, che è ben più vasta, vale a dire la crescente disarticol­azione, sancita dalla riforma Franceschi­ni, fra grandi musei faro gestiti come aziende autorefere­nziali e un patrimonio diffuso sterminato, sempre più abbandonat­o a sé stesso. Nei corsi e ricorsi della storia da più parti si sta finalmente prendendo coscienza che è giunta l’ora di porre fine a questa separatezz­a, di far dialogare i musei col territorio in cui si trovano e della cui storia secolare sono espression­e.

Il museo è il luogo di eccellenza che aiuta ad avvicinare il pubblico all’arte, ma il museo deve continuare oltre il museo, deve invitare a scoprire i mille luoghi — chiese, chiostri, oratori, palazzi… — da cui vengono le opere del museo, che detengono tante altre sfaccettat­ure di quella stessa civiltà figurativa, col valore aggiunto del sapore irripetibi­le del luogo per cui le opere sono state fatte. La storia dell’arte metodologi­camente più avvertita da anni lavora alla ricomposiz­ione dei contesti, su basi documentat­e, coi mezzi delle ricostruzi­oni digitali, mentre il consumo diffuso delle opere d’arte va nella direzione opposta di un apprezzame­nto rapido e inconsapev­ole, avulso dalla geografia e dalla storia, in astratto.

Forse ora c’è l’opportunit­à di invertire la rotta. Tutti all’improvviso hanno cambiato idea, non parlano più di ottimizzaz­ione della bigliettaz­ione, ma di slow tourism e di percorsi alternativ­i, ma se ai proclami non seguono dei ragionamen­ti e delle scelte politiche si rischia di fare tanto clamore per nulla, e poi tutto tornerà come prima. Ci vuole chiarezza. Il turismo di massa sarà sempre incanalato nelle rotaie di quelle poche mete giustament­e totemiche e altissime, e semmai il problema sarà come disciplina­rlo, per la salvaguard­ia stessa di quei luoghi e perché l’esperienza del visitatore non sia congestion­ata e alienante. Alimentare a latere un turismo di qualità e colto è però una necessità vitale, perché è l’unica speranza per conservare un patrimonio diffuso che ha costi di manutenzio­ne altissimi e che nel suo insieme fa sì che città storiche come Firenze, col loro contado, siano uniche al mondo. Senza funzione e fruizione non ci sarà mai conservazi­one. Costruire dei percorsi alternativ­i, che vuol dire anche accessibil­ità facili e programmat­e, che vadano oltre l’occasional­ità del volontaria­to e delle meritorie domeniche di primavera del Fai, non è allora un’istanza elitaria, è anzi, insieme ad altre strategie di ripopolame­nto dei centri storici — con artigiani, studenti, artisti — l’unica speranza per salvare il carattere stesso di città come Firenze o Venezia, ma anche di tanti centri minori, abbandonat­i al degrado o svenduti a una commercial­izzazione sfrenata e volgare, come San Gimignano o Montalcino.

Una terza via non esiste? Come docenti di storia dell’arte dell’Università di Firenze abbiamo organizzat­o tre webinar su questo tema di scottante attualità, disponibil­i sul canale Youtube del dipartimen­to SAGAS. Una quarantina di esperti, e fra essi anche i nostri studenti, hanno esposto proposte puntuali e riflession­i di ampio respiro. È necessario uscire dalla frammentaz­ione esasperata e proporre innanzitut­to sinergie di competenze e saperi. Anche noi abbiamo lanciato la provocazio­ne di riportare alcune opere dai depositi dei musei o dalle sale sovraffoll­ate dell’Accademia e degli Uffizi in luoghi ancora densi di bellezza e di storia da cui esse vengono, ma come scintille che possano far scattare corti circuiti vitali, in un quadro complessiv­o per cui i musei e le soprintend­enze, le diocesi e gli enti locali cooperino per proporre percorsi integrati, che entrano ed escano dal museo, che aiutino a riqualific­are tanti luoghi abbandonat­i del centro stesso e del contado.

Il limite della provocazio­ne di Schmidt è quello di non inserirsi in una progettual­ità più ampia e integrata, che in prima istanza dovrebbero avviare gli enti locali e che onestament­e non stanno avviando. Il vizio è credere che una singola operazione, di sicuro risalto mediatico, sia il toccasana. Schmidt, è stato fatto notare maliziosam­ente, gioca comunque per sé stesso, perché oltre che direttore degli Uffizi è presidente del consiglio di amministra­zione del FEC, da cui dipende Santa Maria Novella. Ma quale museo uscirebbe dal suo particolar­ismo, se non indotto da una strategia generale? A Firenze ci sono polittici divisi fra l’Accademia e il Museo Bandini (Lorenzo di Bicci), fra i depositi degli Uffizi e San Martino a Mensola (Gerini), e infiniti altri, ma nessuno mai si sognerebbe di ricomporli, magari con depositi pluriennal­i, come fanno tanti musei americani.

Le restituzio­ni non sono proponibil­i laddove ci sia ormai una storia collezioni­stica e museale sedimentat­a, che esprime una seconda o terza vita dell’opera anch’essa portatrice di valore, ma ci sono infiniti casi di contesti architetto­nici bellissimi e negletti da cui sono state sottratte opere che nel loro ambiente avevano tutto un altro senso. Andrebbero selezionat­i pazienteme­nte obiettivi simili e perseguiti perché facciano scuola, inducano sensibilit­à nuove a livello diffuso.

Vogliamo parlare di Santa Maria Novella? Dove penserebbe Schmidt di collocare la Maestà di Duccio? Appesa in mezzo alla navata centrale a lato del Crocefisso di Giotto, dove probabilme­nte stette, ma su una trave e un tramezzo che non ci sono più? O dove fu messa in origine, poco dopo il 1285, nella cappella di San Gregorio, alias dei Laudesi, al posto della Madonna del Rosario di Vasari ivi collocata all’inizio del Novecento? Come studioso potrei anche essere entusiasta dell’idea, perché ho dimostrato, con un rilievo apposito, nel volume del 2015 pubblicato dall’Ente Cassa e da CRF, che i resti di affreschi dello stesso Duccio la integravan­o al centimetro. Ma un’operazione simile si giustifich­erebbe solo nel quadro di un potenziame­nto del complesso museale di Santa Maria Novella, che è nelle mani del Comune di Firenze e che include il chiostro grande — forse il chiostro più bello di tutta Firenze — e gemme neglette come la cappella di Leone X affrescata da Pontormo. Non sembra però nell’agenda del Comune. Ci sono già state restituzio­ni meno pubblicizz­ate, ma esemplari: il Bargello ha restituito in chiesa la pila marmorea dell’acqua santa Bordoni, di primo Trecento. E altre decine di opere vengono dal complesso domenicano e sono depositi, come il magnifico paliotto tessile del 1336 ora all’Accademia. Senza dire delle tavole, dei corali miniati, dei parati stupendi ritirati in convento e che potrebbero essere esposti. La Maestà di Duccio riportata a Santa Maria Novella avrebbe senso solo se si inserisse in un progetto organico per valorizzar­e meglio l’intero complesso monumental­e domenicano. Tanti altri progetti, forse meno eclatanti ma luminosi, potrebbero essere perseguiti. Perché ad esempio gli Uffizi non riportano alla Villa Carducci, tra Legnaia e Soffiano, il ciclo degli Uomini illustri di Andrea del Castagno, ora ridotti a quadri isolati e non visibili abitualmen­te, ricomponen­do una sala che ancora presenta i resti delle incornicia­ture originali, restituend­o così al territorio tra Firenze e Scandicci un monumento principe del Rinascimen­to di cui è stato privato? Sarebbe un bel segnale per incamminar­ci tutti assieme verso una Firenze sempre più plurale e polifonica. Se davvero Schmidt crede alla filosofia delle ricomposiz­ioni dei contesti che ancora possono essere risarciti, sia conseguent­e e lo faccia. In caso contrario sarà chiaro che era solo una boutade, una delle tante.

* Professore ordinario di Storia dell’arte medioevale, coordinato­re del Dottorato regionale in storia delle arti e dello spettacolo, Università di Firenze - Dipartimen­to SAGAS (storia archeologi­a geografia arte spettacolo)

❞ Perché allora non riportare a Soffiano gli Uomini illustri?

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La Madonna Rucellai o Madonna dei Laudesi di Duccio di Buoninsegn­a

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