USA-FIRENZE, UN LEGAME LUNGO 200 ANNI (PIÙ PREZIOSO CHE MAI)
Specialmente in un periodo come l’attuale, in cui Firenze si interroga su quando torneranno i visitatori internazionali, e soprattutto gli americani, è utile la lettura dell’ultimo Quaderno del Circolo Fratelli Rosselli dedicato ai rapporti Toscana-Usa nel corso degli ultimi 200 anni (1819-2019). Fresco di stampa, il Quaderno,
diretto da Valdo Spini e curato da Stefano Luconi, prende gli ultimi 200 anni non a caso perché sono quelli che segnano la presenza del Consolato Americano a Firenze, di cui un convegno prima e la pubblicazione ora celebrano l’importante ricorrenza. Il Quaderno,
in realtà, festeggia un doppio anniversario, visto che esce a quaranta anni dalla sua fondazione.
La lettura di Italia-Usa: il consolato di Firenze (18192019), è una assoluta delizia perché i diversi contributi raccontano la storia e cultura americana nei suoi rapporti con la storia italiana, a partire da quella della Toscana del Granduca Leopoldo II. L’apertura del Consolato a Firenze aveva corrisposto a una notevole intensificazione dei rapporti Italia-Usa. Il primo Console americano, Giacomo (James) Ombrosi, faceva da cicerone e da mediatore culturale mentre per la Toscana passava una serie di personaggi straordinari. Tra loro, James Fenimore Cooper (il grande storico dei nativi americani), Henry Longfellow (il primo americano a tradurre la Divina Commedia), Edith Wharton (la prima donna a vincere il Premio Pulitzer per la letteratura), per non dire di Nathaniel Hawthorne (che aveva iniziato la stesura di The Marble Faun durante il suo soggiorno fiorentino), di Henry James, e di Mark Twain. I saggi del volume, da quello — bellissimo — di Sirpa Salenius raccontano, tra l’altro, dei contatti tra i viaggiatori americani con la società locale, la famiglia Bonaparte, i marchesi Gino Capponi e Giuseppe Pucci. Simona Porro si sofferma sull’Italia (e l’arte fiorentina) nella narrativa di Edith Wharton, mentre Lucia Ducci ci consegna un bel saggio dedicato a George P. Marsh (ambientalista ante-litteram), e il suo cruciale contributo al dialogo tra Firenze e gli Usa. Un’altra serie di capitoli (tra cui quello del Console Generale Ben Wohlauer) si soffermano invece sui rapporti politico-culturali tra Italia-Usa e, in particolare, sull’istituzionalizzazione degli studi di storia americana in Italia di cui fu pioniere il Professore Giorgio Spini che avrebbe anche fondato a Firenze l’Istituto di Studi Americani. Il saggio di Tiziano Bonazzi (per anni lo storico americano a Bologna) è un racconto di storia culturale che spiega, tra l’altro, come Spini seppe cogliere, in seno a un certo dibattito americano (soprattutto del New England), il tema morale e politico della libertà che era strettamente collegato a quello dell’eresia e della rivolta giovanile degli anni Sessanta. Bonazzi cita una scuola di storici americanisti (compreso Maurizio Vaudagna) di altissimo livello. A Bologna — aggiungo io, visto che Bonazzi non le cita — c’erano anche due tra le più importanti cattedre di letteratura angloamericana in Italia, una era affidata a Guido Fink e l’altra a Franco La Polla.
Un ulteriore filone è quello relativo alla diplomazia culturale e alle biblioteche, in particolare la gloriosa biblioteca dell’USIS ospitata prima presso Palazzo Ferroni in via Tornabuoni e ora custodita dall’Università in via San Gallo, 10 (e in via del Parione, 7). L’America voleva farsi leggere e desiderava farsi conoscere attraverso le proprie biblioteche; finanziava altresì le cattedre di americanistica ma, fortunatamente, non riuscì a interferire con la libertà di insegnamento e di ricerca dentro l’Università italiana. La fondazione del Foreign Leader Program e del Foreign Specialist Program negli anni ‘50 del ‘900 nonché l’apertura dei Programmi di Università Americane nel nostro Paese (fin dagli anni ‘30) riempiono altre importanti pagine del volume. E Valdo Spini, nella «Presentazione» ricorda alcuni degli snodi principali di questa lunga storia, non ultimo quello che portò, grazie al suo aiuto, alla famosa Legge Barile. Consiglio a tutti di leggere questo Quaderno. E lo leggano specie coloro che si pongono tante domande sulla ripresa e sul ritorno a Firenze dei visitatori di Oltreoceano. Nella genesi dei rapporti tra la Toscana e gli Usa degli ultimi 200 anni, ci sono tutte le risposte e le rassicurazioni di cui oggi abbiamo bisogno. E ci si accorgerà che nulla è perduto. Mark Twain da Londra, avendo appreso che i giornali americani lo davano per morto, aveva telegrafato «The reports of my death are grossly exaggerated», proprio come oggi sembrano esagerate le posizioni di chi dà per morte le tante americanità fiorentine. *Direttrice della Stanford
University di Firenze