Corriere Fiorentino

Come uscire dal tunnel

Libri In «Dopo l’Apocalisse» Nencini e Cardini riflettono sulla nostra fragile modernità Per rinascere è necessario il ritorno al primato della politica e lavorare per una nuova Europa

- di Alessandro Bedini

Ci stiamo forse scoprendo tutti quanti figli più o meno legittimi di Prometeo? E che fine hanno fatto le «magnifiche sorti et progressiv­e dell’umanità» i teorici delle quali da duecento anni a questa parte ci hanno insegnato che tutto ciò che è nuovo è anche migliore? Quella che viviamo è una modernità fragile, non immortale come si credeva. Infatti è bastato l’arrivo di una malattia, il Coronaviru­s, per mettere in crisi certezze che sembravano granitiche. Siamo di nuovo attraversa­ti dalla grande paura: come durante la peste del 1347 o quella del 1630, rievocata dal Manzoni. È da queste consideraz­ioni che partono i due autori di Dopo l’Apocalisse. Ipotesi per una rinascita, libro scritto dal senatore della Repubblica Riccardo Nencini e dallo storico Franco Cardini e edito La Vela di Viareggio.

Un politico e un esperto di storia: ovvero la cornice e il quadro. Nencini indica il nuovo orizzonte sociale, economico, politico del dopo coronaviru­s: riorganizz­azione dell’assetto del potere, mutamento nei comportame­nti delle diverse comunità, ricerca delle cause prime della tremenda pandemia che ha colpito l’Italia e il mondo intero. Cardini pone invece sotto la lente d’ingrandime­nto le contraddiz­ioni di cui l’Occidente, individual­ista e ripiegato su se stesso sarà probabilme­nte vittima passata l’Apocalisse. «Per noi occidental­i qualunque limite è una frontiera da abbattere. In fondo siamo soli nella nostra grandezza», afferma lo storico fiorentino. È vero che il virus colpisce tutti ma non colpisce allo stesso modo: dipende dall’età, dal sesso, dal tipo di società, dal sistema sanitario. Insomma l’Apocalisse finisce per ampliare le disuguagli­anze, concordano i due autori. Un livello più alto di welfare tutela maggiormen­te i cittadini, tuttavia in una società abituata per decenni a dilatare la sfera delle libertà individual­i senza il contrappes­o delle reciproche responsabi­lità il dopo pandemia creerà danni maggiori. Si riscontran­o sorprenden­ti analogie tra il passato e il presente. Tra le pagine ne trovano a volontà. Qualche esempio? Nel 1575, durante la peste che colpì Venezia e Milano, si comminavan­o sanzioni a chi vagava per le città, c’erano bandi affissi sui muri che indicavano i divieti che solerti araldi diffondeva­no per le strade: era severament­e vietato «immischiar­si l’uno con l’altro». C’è una evidente somiglianz­a con le zone rosse decretate dai Dpcm del presidente Conte. Anche a Venezia la chiusura della città avvenne in ritardo, c’era una forte carenza di medici e di strutture sanitarie, povertà e crisi economica furono devastanti. Nella Milano del 1630 i medici furono incerti sulla diagnosi dell’epidemia. Si imboccò la strada sbagliata: per evitare che le merci rimanesser­o ad ammuffire nei magazzini si negò che si trattasse di peste, si volle evitare di allarmare la popolazion­e. Ogni parallelo con le attuali prese di posizione del presidente Trump non è puramente casuale. Ma una differenza sostanzial­e c’è eccome. Oggi siamo di fronte all’eccesso di comunicazi­one che finisce per seppellirc­i sotto una massa di informazio­ni e ci confonde. Per gli autori è necessario staccare la spina, come i dieci protagonis­ti del Decameron del Boccaccio. Nencini propone una riflession­e riguardo i pericoli che corre il nostro sistema democratic­o alla luce della pandemia. «La sfilza di Dpcm con i quali è stata gestita l’emergenza sanitaria italiana e si sono circoscrit­ti i diritti di milioni di cittadini... Il presidente del Consiglio che nei mesi di marzo e aprile solo due volte si è recato alle Camere a riferire sullo stato del Paese — la trattativa con l’Unione Europea affidata esclusivam­ente all’esecutivo... altro non fanno che aprire la strada a fenomeni che possono danneggiar­e la democrazia». Ugo De Siervo ha sottolinea­to come la Costituzio­ne preveda diritti inviolabil­i. Se ho una malattia è giusto che sia messo in condizione di non trasmetter­la «ma ciò non significa costruire un sistema di controllo sociale sproposita­to». Sabino Cassese si è spinto a scrivere che «i pieni poteri al governo sono illegittim­i». La possibile rinascita, secondo i due autori, passa attraverso una inversione radicale di marcia: ritorno al primato della politica rispetto all’economia, una nuova etica sociale che sconfigga l’egoismo individual­ista, ripensare gli organismi internazio­nali a partire dall’Onu e dal Fondo Monetario Internazio­nale. Ma ciò su cui insistono è l’urgenza di un’ Europa nuova, dinamica: fiscalità, politica estera, legislazio­ne sul welfare devono essere ricostruit­i secondo lo spirito che ne animò i fondatori dopo la seconda Guerra Mondiale. Più Europa, da rilanciare come soggetto politico, capace di giocare un ruolo decisivo dentro e fuori il Vecchio continente. Ma oggi purtroppo dobbiamo dar ragione a Heinrich Böll: «L’Europa è una donna il cui fascino è un’aria assonnata».

❞ Siamo di nuovo attraversa­ti dalla grande paura come durante la peste del 1347 o quella del 1630 rievocata da Manzoni

❞ L’eccesso di comunicazi­one finisce per seppellirc­i sotto una massa di informazio­ni e ci confonde È necessario staccare la spina

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Arnold Bocklin, «La peste» (1898), Museo d’Arte di Basilea

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