NUOVO PATTO ETICO TRA PIÙ GENERAZIONI
I l tema della formazione di una «classe politica» all’altezza delle enormi sfide ingigantite dalla pandemia è stato il filo conduttore implicito in molti interventi apparsi sulle pagine del Corriere Fiorentino a seguito del colloquio tra il direttore Paolo Ermini e Andrea Ceccherini.
Ed è su questo punto che accenno a interrogativi preliminari. Muovendo da un quesito-chiave: perché una classe dirigente degna di questo nome non è riuscita a coagularsi e, anche quando ha assunto posizioni di comando, non è stata finora in grado – se non in rarissime occasioni – di conquistare una riconosciuta autorevolezza? Non faccio parte della schiera denominata dei «pessimisti nostalgici», né mi associo ai predicatori di una generica rottura. Alla nozione di «classe politica» è da preferire la più complessa categoria di «ceto dirigente». Anzi, aver indirizzato ossessivamente gli strali polemici contro i «politici» e aver ritenuto – o fatto credere – che bastasse una rottamazione di parlamentari o funzionari della cosiddetta Prima Repubblica ad avviare un nuovo inizio sono stati inganni di devastante impatto. In primo luogo perché agli occhi dei più – e dei giovani in particolare – si è identificato nello stesso far politica l’origine di tutti i guai, e per giunta perché si è impostata la questione calcando la mano su un fattore generazionale, se non anagrafico. Si trattava e si tratta, invece, di capire perché è avvenuto il collasso e come si sarebbe dovuto agire per far spazio a innovazioni radicali e a decisive riforme. Se sono esplose spinte di un populismo di vario segno in contrapposizione ai residui di un sistema dominato dai partiti tradizionali è per il profondo malessere della democrazia e della mediocre qualità della rappresentanza. La crisi emersa dall’’89 al ’94 insorge e si aggrava vertiginosamente perché le scelte determinanti passano a misteriosi protagonisti della finanza globale. Il potere giudiziario assume d’altro canto un ruolo esorbitante che porta alla scoperto i guasti di un sistema inficiato in molte aree da una dilagante corruttela. C’è chi ha scritto di «politica al tramonto» o di «finale di partito». E di partiti diventati «macchine», «testimoni secondari» (Revelli) in un mondo gestito da ben altri centri vitali o gruppi di potere. L’abusata metafora coniata da Zygmunt Bauman della «modernità liquida» fotografa una condizione in cui lo spazio pubblico è uno schermo in cui le esigenze si proiettano senza trovare sbocchi positivi. Ognuno per sé. E la politica esalta la personalizzazione competitiva. Per fare ascolto si accampa un «presentismo» che induce a calcolare il successo scrutando l’andamento febbrile dei sondaggi. Le primarie più o meno garantite vengono presentate come un panacea di antielitistica, ma accordano più chances a chi ha detenuto il potere o si è appropriato di manipolanti astuzie. In questo quadro quali sono state le agenzie di formazione che hanno contribuito a creare un ceto dirigente di tipo nuovo, non velleitario, ma portatore di idee e prospettive davvero originali? Non la scuola nel suo insieme, marginalizzata se non ignorata. Le nuove tecnologie della comunicazione hanno ridotto il confronto a battute feroci o a insidioso gossip. Così lo spirito di ribellione è stato calamitato o da un populismo in versione comica, talvolta in truce riedizione delle autoritarie procedure da eliminare. E ha fatto – fa – toccare con mano «la contraddizione insita nella democrazia rappresentativa, in bilico tra il bisogno di partiti e la diffidenza nei loro confronti» (Urbinati). Si è arrivati al punto che, davanti ad una pandemia dalle distruttrici conseguenze di lungo periodo proseguono e anzi si allargano schermaglie o scalate da far inorridire. Il destino di un Paese, e di un governo che tira avanti a fatica, può essere nelle mani del giovane Alessandro Di Battista? O dell’irruente intolleranza di un Matteo Salvini? Leadership credibili e persuasive come possono costituirsi in un paesaggio così disastrato? Si torna al punto di partenza. Come può emergere ed esser messo alla prova un ceto dirigente in un contesto così inquietante? La prima agenzia di formazione deriva da ciò che le istituzioni della pericolante democrazia in crisi offrono. Altrimenti fioriscono belle esperienze di associazionismo solidale o movimenti quali le sardine, che tentano di innestare nella lotta stimoli partecipativi autonomi e combattivi. Ma un vero cambiamento politico resta una sfida non affrontata. Per vincerla chi è giovane deve far squadra e mischiarsi con coloro che hanno competenze da far valere al di là di accorte logiche di cordata o di appartenenza. Oltre le incerte formule dell’economia e le alleanze elettoralistiche vecchio stampo saranno le ragioni di un’etica pubblica plurale a sconfiggere la paura e ridare fiducia e speranza. Nel 1916, quando la guerra civile insanguinava l’Europa, Robert Musil pubblicò un articolo che, riletto oggi, serba un’indicazione da non disperdere. È imperativo privilegiare la scomoda affermazione della responsabilità comunitaria, non dedicarsi ad un’egoistica demagogia. L’elettore quando è chiamato a scegliere «deve considerare la persona e eleggere non dei ‘Comesivuole’, ma solo autentici ‘Comesideve’».