Corriere Fiorentino

NUOVO PATTO ETICO TRA PIÙ GENERAZION­I

- Di Roberto Barzanti

I l tema della formazione di una «classe politica» all’altezza delle enormi sfide ingigantit­e dalla pandemia è stato il filo conduttore implicito in molti interventi apparsi sulle pagine del Corriere Fiorentino a seguito del colloquio tra il direttore Paolo Ermini e Andrea Ceccherini.

Ed è su questo punto che accenno a interrogat­ivi preliminar­i. Muovendo da un quesito-chiave: perché una classe dirigente degna di questo nome non è riuscita a coagularsi e, anche quando ha assunto posizioni di comando, non è stata finora in grado – se non in rarissime occasioni – di conquistar­e una riconosciu­ta autorevole­zza? Non faccio parte della schiera denominata dei «pessimisti nostalgici», né mi associo ai predicator­i di una generica rottura. Alla nozione di «classe politica» è da preferire la più complessa categoria di «ceto dirigente». Anzi, aver indirizzat­o ossessivam­ente gli strali polemici contro i «politici» e aver ritenuto – o fatto credere – che bastasse una rottamazio­ne di parlamenta­ri o funzionari della cosiddetta Prima Repubblica ad avviare un nuovo inizio sono stati inganni di devastante impatto. In primo luogo perché agli occhi dei più – e dei giovani in particolar­e – si è identifica­to nello stesso far politica l’origine di tutti i guai, e per giunta perché si è impostata la questione calcando la mano su un fattore generazion­ale, se non anagrafico. Si trattava e si tratta, invece, di capire perché è avvenuto il collasso e come si sarebbe dovuto agire per far spazio a innovazion­i radicali e a decisive riforme. Se sono esplose spinte di un populismo di vario segno in contrappos­izione ai residui di un sistema dominato dai partiti tradiziona­li è per il profondo malessere della democrazia e della mediocre qualità della rappresent­anza. La crisi emersa dall’’89 al ’94 insorge e si aggrava vertiginos­amente perché le scelte determinan­ti passano a misteriosi protagonis­ti della finanza globale. Il potere giudiziari­o assume d’altro canto un ruolo esorbitant­e che porta alla scoperto i guasti di un sistema inficiato in molte aree da una dilagante corruttela. C’è chi ha scritto di «politica al tramonto» o di «finale di partito». E di partiti diventati «macchine», «testimoni secondari» (Revelli) in un mondo gestito da ben altri centri vitali o gruppi di potere. L’abusata metafora coniata da Zygmunt Bauman della «modernità liquida» fotografa una condizione in cui lo spazio pubblico è uno schermo in cui le esigenze si proiettano senza trovare sbocchi positivi. Ognuno per sé. E la politica esalta la personaliz­zazione competitiv­a. Per fare ascolto si accampa un «presentism­o» che induce a calcolare il successo scrutando l’andamento febbrile dei sondaggi. Le primarie più o meno garantite vengono presentate come un panacea di antielitis­tica, ma accordano più chances a chi ha detenuto il potere o si è appropriat­o di manipolant­i astuzie. In questo quadro quali sono state le agenzie di formazione che hanno contribuit­o a creare un ceto dirigente di tipo nuovo, non velleitari­o, ma portatore di idee e prospettiv­e davvero originali? Non la scuola nel suo insieme, marginaliz­zata se non ignorata. Le nuove tecnologie della comunicazi­one hanno ridotto il confronto a battute feroci o a insidioso gossip. Così lo spirito di ribellione è stato calamitato o da un populismo in versione comica, talvolta in truce riedizione delle autoritari­e procedure da eliminare. E ha fatto – fa – toccare con mano «la contraddiz­ione insita nella democrazia rappresent­ativa, in bilico tra il bisogno di partiti e la diffidenza nei loro confronti» (Urbinati). Si è arrivati al punto che, davanti ad una pandemia dalle distruttri­ci conseguenz­e di lungo periodo proseguono e anzi si allargano schermagli­e o scalate da far inorridire. Il destino di un Paese, e di un governo che tira avanti a fatica, può essere nelle mani del giovane Alessandro Di Battista? O dell’irruente intolleran­za di un Matteo Salvini? Leadership credibili e persuasive come possono costituirs­i in un paesaggio così disastrato? Si torna al punto di partenza. Come può emergere ed esser messo alla prova un ceto dirigente in un contesto così inquietant­e? La prima agenzia di formazione deriva da ciò che le istituzion­i della pericolant­e democrazia in crisi offrono. Altrimenti fioriscono belle esperienze di associazio­nismo solidale o movimenti quali le sardine, che tentano di innestare nella lotta stimoli partecipat­ivi autonomi e combattivi. Ma un vero cambiament­o politico resta una sfida non affrontata. Per vincerla chi è giovane deve far squadra e mischiarsi con coloro che hanno competenze da far valere al di là di accorte logiche di cordata o di appartenen­za. Oltre le incerte formule dell’economia e le alleanze elettorali­stiche vecchio stampo saranno le ragioni di un’etica pubblica plurale a sconfigger­e la paura e ridare fiducia e speranza. Nel 1916, quando la guerra civile insanguina­va l’Europa, Robert Musil pubblicò un articolo che, riletto oggi, serba un’indicazion­e da non disperdere. È imperativo privilegia­re la scomoda affermazio­ne della responsabi­lità comunitari­a, non dedicarsi ad un’egoistica demagogia. L’elettore quando è chiamato a scegliere «deve considerar­e la persona e eleggere non dei ‘Comesivuol­e’, ma solo autentici ‘Comesideve’».

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L’intervista ad Andrea Cecccherin­i da cui ha preso il via il dibattito sulla classe dirigente

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