«Io, sempre in prima linea Sul sabbione e in ospedale»
La festa: i Fiorini, l’omaggio del Calcio Storico a chi ha lottato contro il coronavirus. Il racconto di Luca, calciante-infermiere
In prima linea sul sabbione di Santa Croce, a schivare i pugni degli avversari. E in prima linea in ospedale, nel reparto Covid, per salvare le vite dei malati. Calciante e infermiere. Luca Mulè, 32 anni, combatte per natura. E non ha paura. Anzi sì, ma soltanto all’inizio, dice lui. «Perché la paura fa parte della vita, non l’ho mai vissuta come una condanna, ma come un’occasione per farmi le ossa e formarmi il carattere».
Certo non è facile trovarsi disarmato davanti alla paura. Succede nel sabbione, quando sei nudo davanti agli altri calcianti agguerriti, e succede in ospedale, quando hai pochi strumenti per combattere una pandemia che sembra senza fine. E hai timore che quel virus possa colpire anche te. «Davanti alla paura ci sono due strade: fuggire o combattere, io ho sempre scelto di combattere, meglio essere leone piuttosto che gazzella, all’inizio è difficile, ma poi, man mano che passano i minuti, la paura diventa la tua forza».
E mai come quest’anno, il Calcio Storico si lega alla sanità, alla pandemia da Covid. Al posto della finale prevista per oggi, in piazza Santa Croce alle 18.30 ci sarà il San Giovanni solidale, con l’assegnazione dei fiorini d’oro a personaggi della sanità e del volontariato e il Corteo storico della Repubblica fiorentina che omaggerà medici e infermieri; poi ogni Colore, coi presidenti e alcuni calcianti, porterà il proprio palio a un ospedale della città come forma di gratitudine. Tra gli infermieri a cui sarà reso omaggio ci sarà anche Luca. Pratica boxe e thai boxe a livello agonistico, ha iniziato a giocare a Calcio Storico l’anno scorso nei Rossi e lavora in un ospedale privato di Bologna che, nei mesi della pandemia, è diventato un grande reparto Coronavirus.
«Nei mesi iniziali è stato terribile, sembrava impossibile che quello che veniva raccontato alla tv fosse piombato nell’ospedale in cui lavoravo tutti i giorni. I malati si moltiplicavano giorno, noi dovevamo attrezzarci. Facevamo turni massacranti, talvolta fino a 11 ore al giorno senza andare in bagno. Non potevo staccarmi neppure un secondo se non in caso di emergenza, ero bardato dalla testa ai piedi, con mascherina, occhiali, visiera, doppi paia di guanti, tuta scafandro. E se ti stacchi per uscire dal reparto diventa un problema, perché automaticamente devi cambiarti completamente e in situazioni di carenza di tute non era certamente consigliato».
Sono stati tanti i momenti difficili nell’ospedale bolognese in cui Luca lavora ormai da anni come infermiere in sala operatoria: «Ricordo ancora quella volta che ho visto morire un signore anziano, non saprei dire se per colpa del Coronavirus o per qualche altra malattia, quando muore qualcuno è una sconfitta ma fa parte del mio lavoro, ho scelto questa professione e veder morire le persone fa parte della realtà». Così come non dimentica i momenti delle telefonate dei pazienti a casa grazie ai tablet messi a disposizione dell’ospedale. «Ricordo quell’anziano signore che non sentiva bene le voci di sua figlia, così la figlia scriveva quello che voleva dire in un foglio e poi lo mostrava in video al padre, sono state scene di grande tenerezza». E ogni volta che tornava a casa, Luca viveva in una stanza separata dai suoi genitori, per evitare rischi di contagio. «Non ho visto la mia fidanzata per quasi tre mesi».
Luca fa pugilato dall’età di 14 anni. «Il mio maestro è stato Massimo Parisi, ex calciante storico dei Rossi, che col tempo mi ha fatto avvicinare al Quartiere e al gruppo. Così è nato l’amore per il Calcio Storico e per i Rossi di Santa Maria Novella. E dopo la vittoria dell’anno scorso, ho voglia di ripetermi». Quest’anno niente torneo, ma la sua guerra, Luca, l’ha già combattuta in ospedale, senza mollare mai.
❞ Sul campo e in corsia All’inizio è difficile, ma poi, man mano che passano i minuti, la paura diventa forza