«Firenze rimetta insieme cultura ed economia»
La presidente del Museo Marini: il virus è stato lo tsunami di Firenze, adesso riportiamo servizi e persone in centro
È arrivato il momento di ripensare il destino di Firenze per scegliere che futuro vogliamo costruire. Patrizia Asproni denuncia la sbornia da soldi facili del turismo mordi e fuggi e chiede una rivoluzione a 360 gradi.
Il coronavirus ha spazzato via l’idea di una Firenze che pensava di poter vivere solo di rendita. È arrivato il momento di ripensare il destino della città per scegliere che futuro costruire. A spiegarlo è Patrizia Asproni, presidente del Museo Marino Marini. La sua riflessione va ben oltre il ruolo della cultura e dell’arte contemporanea, e arriva a toccare la necessità di una rivoluzione in politica: dai processi di partecipazione, al rinnovamento generazionale, fino a una svolta verso la vera parità di genere.
Patrizia Asproni, che cosa ha rappresentato l’emergenza coronavirus?
«È stato un evento inatteso, spiazzante. Ho avuto la sensazione di essere per strada e di avvicinarmi a un flash mob in cui tutti improvvisamente restano immobili. Fino al giorno prima eravamo tutti di corsa, affaccendati, e un attimo dopo ci siamo ritrovati congelati. Devo dire che gli italiani hanno accolto in modo estremamente civile le disposizioni impartite: poche proteste e una grande prova di consapevolezza».
Nella Fase 2 dell’emergenza, però, nel Paese la litigiosità si è alzata a dismisura, non solo nel mondo della politica.
«Non eravamo pronti a una sfida come il lockdown, ma gli ordini erano pochi e precisi e il “restiamo a casa” è diventato un rito collettivo, unificante. Ora non siamo pronti alla ripartenza, ma c’è anche molta confusione sulle disposizioni da parte del governo, con diktat smentiti il giorno dopo. E viene fuori il volto anarchico degli italiani».
Una Firenze «congelata» e vuota è emersa in tutta la sua bellezza, ma anche nell’evidenza del fallimento di un modello economico basato solo sul turismo.
«Io mi considero una resiliente del centro storico perché non mi arrendo, resto qui, nonostante siamo finiti in un vortice di turismo mordi e fuggi, che piaceva perché permetteva di fare soldi facili e veloci, senza alcun investimento, ma sfruttando la rendita del nostro passato glorioso. Ora è come l’onda lunga di uno tsunami, che si ritira e lascia dietro di sé le devastazioni. Nessuno pensava che il modello potesse saltare, l’errore è a monte».
Vale a dire?
«Il coronavirus è stato il nostro “cigno nero” (dal saggio di Nassim Taleb, ndr), l’evento imprevedibile e catastrofico che stravolge le nostre vite. Ma dovevamo sin da prima renderci conto che il turismo, come sostengono molti sociologi, è l’industria più inquinante del pianeta, non solo sul piano ambientale, ma anche per i danni alla socialità dei luoghi. Firenze aveva preso una pesante ubriacatura per i facili guadagni e pensava solo al fatto che nel 2020 era atteso un altro più 10% di turisti. Invece è arrivato questo virus che ci ha spiazzati, diverso dall’alluvione: ha colpito le persone, ma non ha danneggiato i nostri luoghi».
È diverso da un’alluvione anche perché colpisce tutto il mondo. Per questo è più difficile convincere il mondo ad aiutare Firenze, come chiede il sindaco Nardella. Sul Corriere Fiorentino Andrea Ceccherini ha proposto di provare a raccontare la città come una fiaba. Può funzionare?
«Lo storytelling è uno strumento essenziale per fare promozione. Però credo che la priorità sia di interrogarci su che cosa vogliamo essere e a chi vogliamo rivolgere la nostra fiaba. Dovremo capire che cosa il mondo vorrà da noi e, ancora più importante, dovremo capire quale Firenze vorremo creare. Ora abbiamo l’enorme opportunità di poter scegliere il nostro futuro modello di turismo».
Non c’è il rischio che codeste pur nobili ambizioni finiscano per scontrarsi di nuovo, e molto presto, con le leggi del mercato?
«Attenzione, stavolta il modello dai piedi d’argilla è crollato, ma con esso è stato spazzato via tutto quello che era meno solido: a Firenze i ristoranti rimasti in piedi sono quelli che si rivolgevano ai fiorentini, prima che ai turisti. Così come sono rimasti in piedi i nostri monumenti. Vale a dire che le cose migliori ci sono ancora. Adesso è il momento di provare a riportare i servizi nel centro storico, ma anche gli artigiani e gli studenti. Se i prezzi delle case erano inaccessibili, ora è l’occasione giusta».
Qualcuno potrà obiettare che gli studenti sono protagonisti della movida molesta...
«Certo, ma è proprio perché in centro non ci vivono più, perché lo percepiscono come un luogo non vissuto. Chi sta fuori vede il centro come un luna park. Se gli studenti ci tornassero a vivere, si accorgerebbero anche loro di quanto possa essere fastidioso avere il caos tutte le sere fino a tarda notte, se non puoi dormire e non puoi studiare. A questo proposito, credo anche che la nuova politica dei tavolini dappertutto non risolva alcun problema, anzi».
Sul nostro giornale, Laudomia Pucci ha spiegato che ai nostri giovani mancano opportunità, lavoro, sfide. La cultura può essere la soluzione?
«Prima di tutto bisogna superare l’idea che cultura, arte, università, artigianato, commercio, economia siano monadi separate. Va ripensato tutto assieme: serve una città che riporti funzioni e servizi nel centro storico, ma che capisca di essere policentrica, con tanti quartieri che sono vivacissimi e che vanno valorizzati sul piano culturale. Serve che gli studenti stranieri non siano più solo quelli che vengono qui per un corso di tre mesi: noi abbiamo bisogno degli Erasmus, ragazzi che fanno parte della città, che portano talento, intelligenza. Abbiamo bisogno di un’Università che ridiventi una fucina ammirata nel mondo, come lo sono state pochi decenni fa Architettura o Scienze Politiche. Non è un’operazione nostalgia: parlo di futuro ma senza pensare solo al guadagno facile».
Lei si occupa di arte contemporanea. A Firenze siamo molto indietro rispetto ad altre città italiane?
«Siamo partiti tardi, è un processo che è ancora all’inizio, ma tenuto conto delle piccole dimensioni di Firenze non è affatto poco: penso alle mostre al Forte Belvedere, al dibattito creato dalle installazioni in piazza della Signoria, si tratta di segnali importanti. Certo, ora che le fiere d’arte contemporanea sono ferme, Firenze dovrebbe gettarsi in questo settore con prepotenza per recuperare il ritardo. È una straordinaria occasione».
La classe politica fiorentina sarà all’altezza di queste sfide?
«Nardella è al secondo mandato, è in una situazione di privilegio, non deve dimostrare niente. Ma i politici non possono essere lasciati soli. Sta a noi, sta a una nuova grande stagione di partecipazione, incidere sulle scelte della città. Oggi la gente chiede molto alla politica, vuole essere ascoltata».
A Barcellona, per decidere il futuro dello stadio, fecero un referendum. Da noi le scelte si fanno in modo diverso?
«Non so nulla di stadio, ma so che per la loggia degli Uffizi furono fatti i modellini, poi un referendum vinto da Isozaki, ma è rimasto tutto lettera morta. Ovviamente non basta ascoltare, bisogna anche saper portare a compimento le richieste dei cittadini».
E al prossimo governatore toscano, chiunque sarà, cosa vuole chiedere?
«Due cose: meno burocrazia e un turismo che guardi oltre Firenze, perché Firenze non può reggere tutto il peso da sola».
A livello nazionale, invece, siamo pronti per l’Italia del 2030?
«Non senza due grandi cambiamenti. Serve un grande ricambio generazionale, i giovani sono stati la grande dimenticanza di questa emergenza coronavirus, ci sono generazioni scomparse, che si eclissano non solo dalla politica che non li ascolta, ma anche dai social network colonizzati dai cinquantenni».
E il secondo auspicio?
«Le donne, anche loro devono tornare al centro della politica. Sono state fondamentali durante l’emergenza, non solo perché sono medici e infermiere, ma perché hanno fatto lezione in remoto, hanno cucinato, accudito la famiglia, fatto il lievito madre, in altre parole hanno dato equilibrio in un periodo che equilibrato non era. Ora sento parlare di task force senza donne e poi, per riparare, di task force di sole donne, come fosse un ghetto. Eppure i Paesi che hanno donne premier non solo sono i più emancipati, ma hanno anche risposto meglio al virus. Guardate la Germania della Merkel o, meglio ancora alla Nuova Zelanda di Jacinda Ardern: un modello vincente».
❞ La malamovida? I ragazzi non vivono più il centro e lo vedono come un luna park: se ci tornassero a vivere si accorgerebbero di quanto è fastidioso il caos notturno
❞ Nardella è al secondo mandato, non deve dimostrare niente Ma i politici non possono essere lasciati soli: sta a noi, con una nuova stagione di partecipazione, incidere sulla città