Betori: cambiare Firenze, ora
Il cardinale cita La Pira e chiede una città di riposo, bellezza, contemplazione, pace
Una Firenze che, dopo la pandemia, riapra le sue porte al mondo. Ma che lo sappia fare rinnovandosi, e seguendo un’idea nuova di accoglienza votata al rispetto della delicatezza dei suoi luoghi e che non dimentichi la centralità e la dignità dei fiorentini. L’omelia che il cardinale Giuseppe Betori ha pronunciato ieri mattina in Duomo, durante le celebrazioni di San Giovanni Battista, Patrono della città, sembrano voler indicare la strada della ripartenza dopo l’emergenza coronavirus. Sulla base di fondamenta diverse da quelle del profitto.
Davanti al sindaco Dario Nardella, al presidente del Consiglio regionale Eugenio Giani, il prefetto Laura Lega e al nuovo questore Filippo Santarelli, l’arcivescovo di Firenze ha citato due lunghi passi di Giorgio La Pira: la nostra città «inserisce nel dinamismo così attivo del mondo moderno un elemento equilibratore di riposo, di bellezza, di contemplazione, di pace: essa costituisce per gli uomini di tutti i continenti come una riserva pura, un’oasi delicata, che ha per tutti un dono di elevazione, di proporzione, di misura. Ecco perché Firenze appartiene, in certo modo, a tutti i popoli e a tutte le genti». Firenze è città del mondo, ma è anche un’oasi delicata da trattare con cura. Il cardinale Betori ha di nuovo citato La Pira: «In una città un posto ci deve essere per tutti: un posto per pregare (la chiesa), un posto per amare (la casa), un posto per lavorare (l’officina), un posto per pensare (la scuola), un posto per guarire (l’ospedale)».
L’attualità del messaggio del sindaco santo è stata così spiegata dall’interpretazione del cardinale in relazione alla ripartenza dopo la pandemia: «Non pretendo che in queste frasi sia rintracciabile tutto il contenuto di un progetto di rinascita, ma certamente buona parte di esso. (…) Proviamo a passare al vaglio di queste dimensioni e di questi luoghi di vita le scelte urbanistiche, economiche, imprenditoriali, sociali che si dovranno fare nei prossimi mesi. Pronti a rinunciare a tutto ciò che magari può portare profitto, ma entra in conflitto con questi principi superiori, che sono i lineamenti del volto di Firenze».
L’arcivescovo ha quindi fatto riferimento a quanto accaduto nel mondo e nella nostra città negli scorsi mesi, raccontando come il Covid abbia cambiato le persone: «Proprio il tempo delle limitazioni imposte dal contrasto alla circolazione del virus ha permesso di fare un discernimento — speriamo profondo quanto ce n’è bisogno (…): troppe cose che sembravano irrinunciabili ci sono apparse vacue, e qui possiamo mettere tutto il mondo del consumismo, mentre di altre abbiamo capito quanto fossero indispensabili, e penso anzitutto alle relazioni tra le persone».
In una Santa Maria del Fiore, con le sedie dei fedeli distanziate e le mascherine a coprire ogni volto, senza i consueti cori del Maggio, un cerimonia improntata alla sobrietà è rimasta invece ferma alle tradizioni con la consegna al cardinale dei ceri e della croce col giglio da parte di Nardella. La messa si è conclusa con la lettura di un messaggio che Betori ha scritto con il cardinale Angelo Bagnasco, amministratore apostolico di Genova, e con monsignor Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, città che con Firenze condividono il patrono e che quest’anno hanno scelto festeggiamenti religiosi congiunti. Pur senza i precisi riferimenti fiorentini dell’omelia, i concetti sono molto simili: «Nella rinascita che auspichiamo per le nostre città non dovremo dimenticare di trarre alimento dalle loro radici, dall’identità che le nostre comunità portano con sé dalle origini».
Nardella, dopo la messa, ha voluto commentare le parole del cardinale: «Ho apprezzato moltissimo l’omelia — ha detto — Sono d’accordo con Betori che il turismo sia una parte essenziale della nostra economia. Però è anche vero che Firenze ha tante altre caratteristiche, l’industria, la manifattura, i servizi, la cultura, l’arte: l’importante è saper combinare il turismo con tutte le altre vocazioni della città e soprattutto non renderla dipendente esclusivamente dal turismo di massa. Anzi, dobbiamo riuscire a combatterlo. Questo Covid è stato uno choc che ci fa capire ancora di più cosa serve per Firenze»
❞ L’arcivescovo Rinunciare a ciò che porta profitto, quante cose irrinunciabili ci sono apparse vacue
❞ Il sindaco Lotta al turismo di massa: il coronavirus ci ha fatto capire cosa serve davvero alla città