Orari corti e più spazi: se il peso cade sui presidi
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Con Valerio Vagnoli, dirigente scolastico in pensione, editorialista del Corriere Fiorentino e tra i fondatori del «Gruppo di Firenze per la scuola del merito della responsabilità», abbiamo fatto sulle linee guida previste dal governo per il rientro a scuola a settembre.
«Nelle nostre classi le regole non vengono quasi mai rispettate normalmente, questo aggrava la situazione in vista delle nuove disposizioni per la riapertura delle scuole: sono lacunose e sbagliate, si sta perdendo un’occasione storica». Con Valerio Vagnoli, dirigente scolastico in pensione, editorialista del Corriere Fiorentino e tra i fondatori del «Gruppo di Firenze per la scuola del merito della responsabilità», facciamo il punto sul rientro (in presenza) a settembre nelle scuole toscane.
Come va considerata la bozza delle linee guida della ministra Lucia Azzolina: un avvio di discussione sulle decisioni da prendere o l’ultima parola del governo che poi passa la palla ai presidi?
Il tentativo di ufficializzare la bozza di documento fatto dal ministero era una prova di forza. Si sono mossi i presidi, gli enti locali e i sindacati, perché molte — troppe — cose non vanno. Di fronte allo spettro di un’ennesima debacle il governo deve metterci le mani, altrimenti verrà pregiudicato seriamente l’inizio anno scolastico.
Quali sono le lacune più vistose?
Non sono chiare nel delineare le responsabilità del ministero, delle scuole e degli enti locali. Non specificano quali siano le responsabilità e c’è il chiaro tentativo di demandare alle scuole compiti che non sono in grado di affrontare senza direttive nazionali: i sei giorni la settimana e le ore da 45 minuti sono un esempio.
Nella scuola è stato inserito il criterio dell’autonomia. Nella stagione del post Covid è un vantaggio o un ostacolo?
Può essere una straordinaria opportunità o un colpo di grazia. Mi sembra si stia andando verso quest’ultima soluzione. Un mese fa misi in rilievo la necessità di partire subito per reperire spazi — da parte degli enti locali — e di cominciare con il gruppo portante che ha ogni scuola ad ipotizzare soluzioni didattiche. Sono certo che l’hanno fatte in poche.
Sarà un problema far indossare le mascherine agli alunni?
Ci saranno difficoltà, accresciute dal fatto che già nella nostra scuola c’è difficoltà nel far rispettare le regole. Chi parlava di rispetto delle regole negli anni scorsi veniva tacciato sceriffo, oggi le cose si complicano.
Se uno studente non obbedisce all’obbligo di indossarla, cosa deve fare un docente?
Fossi ancora preside, lo studente rimarrebbe a casa. Andrebbe aggiornato anche il regolamento di istituto riguardo a questo aspetto, perché è in gioco la salute di tutti.
Che vantaggi porta la soluzione delle ore di lezione accorciate?
Così nessuna. Se si fa un orario di 45 minuti è evidente che l’occupazione delle aule aumenta a dismisura. L’alternativa è diminuire il monte orario (quello attuale nelle scuole superiori è di 32 ore), ma la ministra non ha fatto alcun cenno a questo aspetto.
Bisognerebbe partire da alcune certezze. La prima: quale deve essere il numero dei ragazzi per classe per garantire la sicurezza
La sicurezza è data dalla possibilità di mantenere la distanza di un metro fra gli alunni, nella gran parte delle scuole non esiste questo spazio.
Come si ovvia al problema della numerosità degli studenti rispetto a spazi ridotti?
L’unica maniera è dividere la classe in due parti: una a scuola, l’altra a casa. Nello steso tempo rimane un altro problema: siamo in Italia, l’ingerenza delle famiglie è totale: i genitori di ragazzi seguono le lezioni, hanno da ridire, controllano, con i social esprimono considerazioni indecorose e ne va della credibilità della scuola.
Servono altri insegnanti? Non c’è il rischio che si approfitti della pandemia per fare un’altra infornata di docenti senza alcun tipo di selezione?
Temo questa possibilità. Le scuole devono farcela con le loro forze perché un nuovo massiccio inserimento di insegnati non valutati creerebbe un nuovo precedente per compromettere il mondo dell’apprendimento
Quale modello bisognerebbe inseguire per il cambiamento?
Quello della Finlandia, poiché la loro è una società che crede nella scuola. Gli insegnanti lì frequentano un’università specifica che insieme alla dottrina d’indirizzo ha un percorso sulla formazione pedagogica. Uno ogni dieci candidati passa la selezione per divenire docente. L’immissione in ruolo — non pro forma — viene confermata solo dopo due anni.
Le attività sportive saranno possibili? E come? In quali ambienti?
Per chi ha lo spazio all’aperto potranno esser eseguite, mantenendo le distanze. Ma non si potrà fare calcio e pallacanestro oppure sport di contatto.
E l’attività di sostegno? C’è il rischio di una marginalizzazione del problema?
Diventa più difficile, ma con le mascherine e l’igienizzazione si può. Del resto non ci sono mai state aule e laboratori speciali con gli strumenti che a questi ragazzi servono. Dunque diventa anche questa un’occasione per migliorare la pratica e il personale, dato che l’85% degli insegnanti di sostegno non ha alcun titolo.
Prima del Covid la sicurezza era legata agli edifici. Ora anche alla salute. Ci metteremo mai al sicuro?
Non in tempi brevi. Nel tempo che c’è dovremmo affrontare l’emergenza, ci vuole una sensibilità culturale che non c’è. Quando cominciai, nel 1973, c’era l’infermiera a scuola almeno una volta alla settimana: eravamo più organizzati di oggi. C’era un’attenzione, soprattutto nelle scuole dell’infanzia, che è venuta meno nei decenni seguenti. Bisogna cominciare a organizzarsi, c’è bisogno prima di tutto di spazi. L’effetto di una vera riforma si avrà dopo almeno 20 anni, un tempo per cui ci porteremo dietro i mali e le follie frutto di questi anni.
C’è già chi dice che anche nel prossimo anno scolastico si dovrà fare uso delle lezioni da remoto, ma come noto non tutti hanno un pc a disposizione a casa. Si va a ledere un diritto costituzionale...
È proprio così. Il ministero aveva tra l’altro il dovere di informarci sui risultati della didattica a distanza di questi mesi. Aveva il dovere di dirci quali fossero state le difficoltà e i limiti. E invece non è stato fatto.
Tutto sembra fare da contrasto al principio del merito. Un destino?
Sì, lo è. In questo
Paese è così, inutile girarci intorno. Pochi pedagogisti e politici, quando si parla di merito, colgono il problema realmente. Stiamo facendo crescere generazioni di ragazzi fuori dal significato della scuola, il merito è bandito. La scuola di oggi è davvero classista, utile soprattutto per impiegare soprattutto per impiegare le persone. La scuola italiana va avanti perché c’è una quota minima d’insegnati eroici che sceglie di rimanere nelle scuole di frontiera, che ci sono anche in Toscana. Ma ce ne sono moltissimi che fanno danni irreparabili.
Giugno 2020. La scuola italiana è viva o moribonda?
Sta morendo, è nel caos, da anni abbandonata in cerca di un ruolo e di un significato. Purtroppo rischia di perire definitivamente se non si approfitta di questo disastro sanitario per cogliere l’occasione del cambiamento. a cura di